di MARIA DESSOLE
URBINO – Era solo un paravento di compensato e tessuto, sistemato in modo da nascondere ad Anna (nome di fantasia) la vista del marito, imputato per le violenze che lungo 20 anni le aveva inflitto. Seduta al banco dei testimoni avrebbe ripercorso tutti gli abusi, finalmente messi agli atti del processo. Durante la deposizione l’avvocata di Anna, scostato il paravento il tanto da poterla guardare negli occhi, le poneva le domande di rito. Ma quello spiraglio è stato sufficiente. Il marito si alza e riesce ad infilare lo sguardo in quei pochi centimetri, intercetta quello di Anna e la aggancia.
Anna l’indomani è scappata con il loro figlio dalla casa rifugio. Scomparsa per non farsi più trovare? O la capacità di condizionamento del marito, come teme Santorelli, ha prevalso fino a farla fuggire insieme a lui? Quando si sono incontrati per la prima volta Anna aveva 19 anni, veniva da una famiglia estremamente povera e, alla fine, ha vissuto in totale dipendenza da lui. Fino a un processo nato da un atto di coraggio ma che non si è concluso.
Giulia: essere indipendenti non sempre basta
Di violenza di genere, tuttavia, sono ugualmente vittime le donne autonome, economicamente indipendenti e capaci di riconoscere i comportamenti tossici nei loro compagni. Eppure spesso la vergogna le frena, impedendo loro di chiedere aiuto e rifugiandosi in un “a me non può succedere”. È il caso di Giulia (nome di fantasia), infermiera campana che ha convissuto per anni con un marito violento, da cui ha avuto un bambino. Per scappare dagli abusi quotidiani è stata necessaria una progettazione, oltre che l’ammissione degli abusi.
Una nuova vita nelle Marche
Quando Giulia ha trovato il coraggio di rivolgersi ai servizi sociali, valutando la pericolosità del suo caso, si è deciso per un trasferimento in una casa rifugio nelle Marche, lontano oltre 400 chilometri dalla casa di origine. Giulia ha sacrificato il lavoro, la rete familiare e gli amici e ha accettato di sradicare suo figlio. “In queste strutture – spiega Gloria Battistelli, coordinatrice delle case rifugio della provincia di Pesaro Urbino – arrivano quelle donne che non hanno un’alternativa”. Concluso il percorso nel centro antiviolenza Giulia ha poi deciso di rimanere nelle Marche.
Luisa: confidarsi è importante
Di recente il Ducato ha seguito la storia di Luisa (nome di fantasia), mamma di due bambini che sta affrontando un procedimento giudiziario contro l’ex compagno. La storia l’ha raccontata lei stessa in aula. L’incontro, l’innamoramento, la relazione che diventa controllo e l’allontanamento progressivo da famiglia e amici. Luisa si è decisa a denunciare solo dopo che lui ha tentato di strangolarla, ma era già da tempo che subiva violenza psicologica e verbale. Alle sue parole, in udienza, si sono unite quelle della sorella e di una cara amica, lì per sostenerla e testimoniare. Il primo passo per molte vittime è confidarsi con una persona vicina, e così è stato per Luisa, che ha poi deciso di denunciarlo anche per i maltrattamenti contro i loro bambini.