di RAFFAELE DI GAETANI
URBINO – Applausi e urla di incitamento, proprio come allo stadio in una finale olimpica. Una giacca nera, i capelli al vento e la tesi in mano. Il sorriso sulle labbra. Poi si inchina verso il pubblico e dice un po’ impacciato “Grazie mille”. Il coro “Gimbo, Gimbo” parte dalle corde vocali vibranti degli studenti. Poi l’inno nazionale suonato dopo la vittoria della medaglia d’oro a Tokyo 2020. Così la platea ha salutato l’arrivo del campione olimpico Gianmarco Tamberi all’Università di Urbino per il conferimento del dottorato honoris causa in Scienze dello sport.
Al momento della consegna della pergamena da parte del rettore della Carlo Bo Giorgio Calcagnini, l’atleta di fronte a un’aula magna gremita di giovani e accademici, non è sicuro di sé come in pista, e dove trasforma ogni salto in uno show. Il tocco (il tradizionale cappello da laurea) è instabile sulla sua testa: i capelli sono troppo folti. Gli cade più volte, ma a dargli la mano ci sono gli studenti con un applauso. Gli stessi con cui scambia abbracci e scatta selfie al termine della cerimonia.
“La forza delle scelte”
Dopo la consegna del titolo, il dottor Tamberi pronuncia la sua lectio magistralis “La forza delle scelte”. Per lui quando si devono prendere delle decisioni “Non si può lanciare la monetina ma ci sono diversi fattori da valutare: la parte oggettiva, quella emotiva, essere disposti a uscire dalla comfort zone e il coraggio. Non esiste limite più grande della paura di sbagliare. Scegliere è il primo passo per creare il futuro. A volte rimaniamo fermi per giorni, mesi e anni e ci blocchiamo”.
Il destino nelle proprie mani
Nella carriera del portabandiera italiano a Parigi 2024 sono stati quattro i momento di svolta. Il primo nel 2009: “Dovevo scegliere tra il basket e il salto in alto. Per quest’ultimo ero più predisposto. In quel caso la parte razionale mi ha fatto propendere per una scelta più logica. Ero giovane ma se non avessi iniziato a scegliere a 17 anni non sarei arrivato qui”. Poi nel 2017 un infortunio sulla pedana mette a rischio la partecipazione all’Olimpiade in Giappone: “I medici non sapevano se sarei riuscito a tornare a saltare. Lì in ospedale ho scritto in un bigliettino: ‘Tokyo 2020’. Ho provato a crederci”. La stessa promessa scritta sul gesso, dopo l’infortunio che lo costrinse a rinunciare a Rio 2016: “Road do Tokyo”. A quelle Olimpiadi, poi, è salito sul gradino più alto del podio a parimerito con il qatarino Mutaz Essa Barshim.
Per un atleta vincente non è facile uscire dalla comfort zone, soprattutto se questa gli ha permesso di arrivare al successo. Nel 2022 l’altista spiega di averlo fatto: “Dopo 13 anni di allenamenti con mio padre, in cui ci sono stati problemi relazionali, ho cambiato allenatore per vedere se potevo vincere senza di lui. Farlo mi ha aiutato a capire quanto i risultati dipendessero anche da me”. Di recente, alla trasmissione Belve, Gimbo ha definito il rapporto col padre “orrendo”.
Non so se andrò a Los Angeles 2028
L’ultimo grande scalino è stato scendere in pista nella finale di salto in alto a Parigi 2024 dopo il ricovero in ospedale per una colica renale. “Tante persone mi hanno chiesto perché lo abbia fatto. Serve il coraggio nella vita. Se si ha paura di fallire non si possono raggiungere grandi obiettivi“. Il pubblico applaude. Per il campione olimpico, che ha 32 anni e nel 2028 ne avrà 36, ci sarà un’altra grande scelta da prendere, la quinta della sua vita: partecipare o meno alla prossima Olimpiade. “Nella mia testa ho fatto tutti i calcoli sulle probabilità di vincere. Ho ben chiaro cosa significherebbe provarci”. E poi, sceso dal palco, e preso d’assalto dai fan e dai giornalisti, è più chiaro: “Non so se andrò a Los Angeles nel 2028”.