Di CHIARA RICCIOLINI
A Urbino, i fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza stanno rischiando di trasformarsi da opportunità unica a corsa contro il tempo. Dei 30 milioni e 430 mila euro assegnati al Comune per finanziare interventi strategici, ne sono stati spesi finora poco più di 4 milioni, pari al 13% del totale. Un numero che pesa sullo stato di avanzamento dei progetti e sulle capacità amministrative di rispettare le stringenti scadenze imposte dall’Unione Europea al 30 giugno 2026, eccetto quelli facenti parte dei progetti che rientrano nella “nuova politica di coesione e sullo strumento finanziario”, in scadenza nel 2027.
La cifra complessiva, distribuita tra diverse missioni come digitalizzazione, edilizia scolastica e rigenerazione urbana, è pensata per imprimere una svolta allo sviluppo del territorio. I numeri, al momento in cui il Comune li ha forniti alla nostra redazione il 21 novembre, raccontano una situazione critica: numerosi progetti sono ancora bloccati nelle fasi preliminari, mentre solo pochi hanno raggiunto una concreta fase di realizzazione.
La digitalizzazione, per esempio, rappresenta una delle priorità del Pnrr e uno degli ambiti finanziati per Urbino, con risorse per 581 mila euro. Il Comune è riuscito a utilizzare circa 413 mila euro, segnale che qualcosa si sta muovendo. Più critica è la situazione nell’edilizia scolastica: oltre 4 milioni di euro erano stati destinati alla costruzione di nuove scuole e alla riqualificazione di edifici esistenti, ma gran parte dei fondi giace inutilizzata.
Ad esempio, per il nuovo asilo nido in via Santa Maria Pomonte, nella frazione di Canavaccio, finanziato con 720 mila euro, al 21 novembre non era ancora stato speso un centesimo. Per l’adeguamento sismico dell’Istituto Comprensivo Volponi, che ha ricevuto 3 milioni di euro, sono stati utilizzati solo 5.600 euro. Anche per la costruzione di una nuova palestra scolastica per la scuola elementare di Schieti, su un finanziamento di 900 mila euro, sono stati spesi 183.449.
La risposta del sindaco
“Fare le cose in un anno e mezzo/ due non è facilissimo anche perché queste risorse sono arrivate un anno fa – commenta il sindaco Maurizio Gambini -, noi abbiamo fatto le rendicontazioni dello stato di avanzamento dei lavori, sono tutte opere che si stanno avviando alla conclusione e stiamo rendicontando”. E aggiunge: “Secondo me non c’è nessun problema, non c’è nessun ritardo, per il futuro sono fiducioso”. “Tutti i cantieri stanno lavorando: la Data per esempio a marzo/aprile sarà finita. Tutti i progetti o sono in costruzione o sono in appalto o sono finiti. Lasciamo indietro quelli della rigenerazione urbana, che hanno la scadenza a fine 2027. Per ora abbiamo smaltito quelli che devono essere finiti a giugno 2026″.
“Inoltre – conclude il sindaco – abbiamo otto milioni di interventi sull’alluvione che si sommano a tutti i lavori che vanno fatti. Sono decine di progetti che l’ufficio tecnico sta facendo. Abbiamo aumentato il personale, e dato i progetti ad esterni. Adesso l’ufficio tecnico è abbastanza operativo”.
Le difficoltà dei Comuni più piccoli
Dai dati, però, emerge che un rallentamento ci sia e i fattori sembrano essere molteplici. Da un lato, le difficoltà amministrative legate alla gestione di bandi e appalti complessi, un problema comune a molti enti locali italiani. Dall’altro, la mancanza di personale qualificato per seguire progetti di tale portata, una lacuna che si è fatta sentire soprattutto nei Comuni più piccoli.
“Spesso gli enti locali vengono indicati come i principali responsabili dei rallentamenti nell’attuazione del Pnrr”, spiega l’analista politico Luca Del Poggetto, data journalist presso Fondazione Openpolis. “In parte è vero: la mancanza di personale e di risorse per rafforzare gli organici, oppure per affidare i progetti a consulenti esterni, è un problema concreto. Tuttavia, c’è anche una questione a monte, legata alla gestione del Pnrr stesso. Già nel 2021, studi dell’Ufficio parlamentare di bilancio avevano previsto che il carico di lavoro per i Comuni sarebbe aumentato di oltre il 30% con l’arrivo di questi fondi.
Il Pnrr prevedeva piani di assunzione per affrontare questa sfida, ma i risultati sono stati deludenti: i contratti erano a termine e poco remunerati. Questo ha fatto sì che, in molti casi, venissero assunti giovani inesperti invece di figure professionali competenti. In altri casi, le posizioni non sono state coperte affatto. Anche l’eccessiva frammentazione dei progetti non ha aiutato, penalizzando soprattutto i piccoli Comuni, che dispongono di meno risorse e personale. La gestione di un volume così elevato di risorse in tempi stretti ha creato difficoltà enormi. Per di più, lo strumento di rendicontazione del Pnrr, il sistema Regis, è diventato operativo solo tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022, ritardando ulteriormente l’avvio delle attività”.
Se i fondi destinati a progetti con scadenza al 2026 non verranno spesi entro il termine previsto, il rischio è che queste risorse vadano perdute. A quel punto, un intervento statale potrebbe essere necessario per coprire i progetti rimasti incompleti.