di RAFFAELE DI GAETANI
URBINO – Nella piazza dei collegi c’è un ragazzo alto con capelli e mani curate, indossa una giacca nera e una camicia blu. Negli occhi, oltre al riflesso del tramonto sulle colline urbinati, c’è il suo passato vissuto in Africa. Lidu Peter ha 28 anni, anche se per un errore sui suoi documenti c’è scritto 32, ed è nato nel Sud Sudan. È cresciuto in un campo per rifugiati a Kakuma nel nord del Kenya.
A 4 anni è dovuto scappare dal suo Paese d’origine. Con le frequenze della voce strozzate dall’emozione racconta: “Quando esplodono le bombe tu cosa puoi fare? Devi andare via, quando sei attaccato non puoi fare altro”. Suo padre è stato ucciso quando aveva un anno mentre sua madre Sabina è viva. Tre dei suoi fratelli sono morti, gli altri sono ancora in Africa. Ed è proprio con uno di questi, Simon, che Peter ha pianto quando ha saputo di avere l’opportunità di studiare in Italia International Economics per realizzare il sogno di una vita nuova.
La formazione in Africa
Peter spiega la determinazione avuta sin da piccolo. Era intelligente e gli piaceva studiare ma “nei campi per rifugiati il livello d’istruzione non era sufficiente”. “Io sono stato fortunato perché il progetto Duffy, fatto in collaborazione con il governo tedesco, aiutava i rifugiati nella formazione”. Al termine del percorso scolastico “ho tentato i test per entrare nel 2016 alla Masinde University of Science and Technology a Kakamega, sempre in Kenya, ma non mi hanno ammesso. L’anno successivo ci ho riprovato e ce l’ho fatta. Mi sono laureato nel 2021”.
Dopo la laurea Peter è ritornato a Kakuma nel campo di rifugiati dove era cresciuto: “Dal 2021 al 2023 ho lavorato lì. Prima in un’organizzazione no-profit danese poi in una Svizzera in cui aiutavo i bambini. Gli insegnavo a scrivere e giocare. C’erano pochi finanziamenti. Gli facevo capire l’importanza di rispettare le differenze, culture e religioni differenti. Gli insegnavo a stare insieme e a esprimere l’amore tra di loro”.
Il sogno italiano
Su Peter c’era pressione: “Nella mia società a 28 anni ti sposi. I miei coetanei avevano già 4-5 figli”. Ma lui voleva una vita diversa e il momento di svolta arriva quando su un gruppo Whatsapp gli arriva il link del progetto Unicore (University corridor for refugees) per studiare in Italia: “Sfortunatamente le iscrizioni erano chiuse, ho aspettato un anno e ho fatto il colloquio. Io potevo tornare in Sud Sudan o prendermi quella chance. L’ho fatto senza pensarci”.
Peter spiega che la decisione di venire a Urbino è stata frutto di un gesto d’amicizia: “Dovevo scegliere tra le Marche e il Piemonte. A Urbino c’erano due posti mentre a Torino tre. Io ero entrato in entrambe ma il quarto a Torino era il mio migliore amico Chaloma. Se io fossi andato lì non lo avrebbero preso. Per dare anche a lui una possibilità ho scelto di venire alla Carlo Bo. Lui per me è un fratello. Purtroppo non ci siamo ancora visti in Italia. Quando ho visto i risultati ero emozionato. Non posso descrivere quel feeling. Se tu sei positivo le opportunità arrivano”.
La nuova era
Ad agosto 2023 Peter mette vestiti, ricordi e fame di affermarsi nella valigia e parte per l’Italia: “Dopo essere atterrato a Fiumicino, sono arrivato al collegio dell’aquilone più di un giorno dopo esser partito dall’Africa”. E sull’impatto con la città ricorda: “Ero confuso. Avevo letto molti articoli e visto video su Urbino. Mi hanno sorpreso le case che a volte non sembrano belle da fuori ma in realtà sono stupende dentro. Prima di arrivare non riuscivo a immaginarmela. Ci sono dei tramonti stupendi e mi piacciono le colline. La cosa migliore è che non ci sono grandi distanze”.
Lungo termine
L’idea di Peter sull’Italia è chiara: “Ci sono bellissime persone. Non sono tutti uguali ma l’80% sono brave persone. La cosa più difficile è la lingua. Il mio cibo preferito è la lasagna con i funghi”. Peter si laureerà a marzo: “Mi piacerebbe rimanere in Italia. Il mio sogno è creare un organizzazione per aiutare chi è in difficoltà o collaborare con quelle già esistenti. Voglio dividere la ricchezza con le altre persone. Quando vedo i bambini felici lo sono anche io. Gli italiani mi hanno aiutato in tutto e vorrei pagare le tasse per dire grazie”.