Studenti e detenuti sul palco a Fossombrone e Pesaro. Dietro le quinte c’è la libertà

Foto di Franco Deriu
di LAURA NASALI, MARIA DESSOLE e MARIA SELENE CLEMENTE

URBINO – Tra i corridoi del carcere si stringono legami difficili da immaginare, si celano storie e speranze di riscatto. In una realtà che spesso isola dal mondo esterno, il teatro può rappresentare uno spiraglio di luce. Lo sa bene l’Istituto superiore Luigi Donati. Sei anni fa, per la prima volta, un gruppo di studenti ha superato quel confine che divide il carcere dal resto del mondo: nasceva il progetto teatrale tra la scuola e la casa di reclusione di Fossombrone.

Una finestra sul mondo

“Il teatro è per eccellenza lo strumento che consente di superare i confini, di volare alto e di spogliarsi da tutti i preconcetti”, racconta la preside Alessandra Di Giuseppe che fin dal suo primo anno in dirigenza si è preoccupata di poter far interagire i ragazzi del Donati con i suoi studenti del carcere. Ha realizzato il progetto insieme a una collega Sara Mei con l’obiettivo di aprire una finestra sul mondo per i detenuti di Fossombrone e aprire le menti degli studenti.

La professoressa Mei non vede il carcere in bianco e nero, come spesso succede. “Lo associo al colore blu, perché è il mio colore preferito. Sì perché io non lo faccio solo per lavoro, tra quei corridoi ci sto davvero bene”. Ma per la professoressa il colore che più rappresenta quel mondo è il verde. È proprio tra quelle stanze che si sprigiona la speranza di scelte e vite diverse.

Docenti e studenti dell’Istituto superiore Luigi Donati

“I nostri ragazzi e docenti che partecipano a questo laboratorio vedono i carcerati come persone, al di là di quello che hanno commesso. Due volte a settimana detenuti e ragazzi provano gli uni accanto agli altri per prepararsi allo spettacolo finale” racconta la professoressa Mei.

La docente spiega anche come i carcerati si sentano formatori dei giovani: “A ogni incontro i detenuti spiegano quanto sia importante scegliere la strada giusta, perché da certe scelte sbagliate non si torna indietro”.

Il carcere riflesso negli occhi degli studenti

“Questa esperienza mi ha lasciato dei ricordi bellissimi di momenti spensierati e liberi per noi e loro. Il clima che si respira è molto diverso da ciò che si pensa – racconta Linda , 18 anni – c’è grande rispetto, ho imparato tanto da loro”.

Francesco, Linda e Francesco

Francesco ha percorso i corridoi del carcere quando non aveva ancora compiuto diciotto anni: era la prima volta che gli capitava di vedere con i propri occhi una realtà simile, molto distante da quella a cui era abituato. “In televisione i detenuti vengono raccontati in modo completamente diverso rispetto alla realtà. Facendo questo progetto ho scoperto che non sono dei mostri” racconta Francesco.

La scuola in carcere 

Con i ragazzi protagonisti del progetto c’è anche il professore Eraldo Mazza. Lui il carcere lo conosce bene, fin dal ‘98 quando ha iniziato a insegnare ai detenuti che frequentano la scuola superiore. “Sono quasi un ergastolano” scherza, spiegando il rapporto di collaborazione che lega
da trent’anni l’istituto Donati al carcere di Fossombrone.

“Ho sempre considerato questa esperienza come un’opportunità di crescita personale” dice il professore, che insegna matematica. Gli studenti detenuti sono simili a quelli che incontra a scuola. C’è chi zoppica nella temuta materia, chi la sfanga solo all’ultimo, con il compito di fine anno, e chi, invece, “dimostra grande capacità di ragionamento e logica”. 

L’opinione pubblica sa molto poco della realtà carceraria e Mazza trova che il laboratorio di teatro abbia una valenza fondamentale, non solo per gli studenti, ma anche per i professori. Lui stesso ha partecipato al progetto recitando sul palcoscenico accanto ai suoi studenti, detenuti e non. “Il ruolo era piccolo” dice, ma il tempo passato insieme ai ragazzi gli ha dato la possibilità di conoscerne lati nuovi.

Che sia matematica o teatro non conta: “Insegnare in carcere è un’opportunità unica che arricchisce profondamente dal punto di vista umano e professionale” afferma il professore che, a distanza di anni, sorride raccontando degli studenti detenuti che più lo hanno colpito, alcuni dei quali sono nella struttura di reclusione fin da quando ha iniziato a insegnare. 

Un palco per sentirsi meno soli

Ed è così che due mondi si uniscono fino ad azzerare ogni differenza e quella stanza usata come palcoscenico vede nascere amicizie profonde. Rapporti simili sono nati anche in altri carceri poco distanti, come quello di Pesaro.

Giuseppe Pollastrelli. Foto di Franco Deriu

Vito Minoia e Giuseppe Pollastrelli si conoscono ormai da anni. Si abbracciano forte e si commuovono quando pensano ai ricordi insieme dietro le sbarre. Vito, insegnante di teatro, da anni è impegnato nel portare ai detenuti una speranza e tra i tanti volti incontrati negli anni c’è anche quello di Giuseppe.

“Il teatro mi ha salvato la vita, mi ha fatto capire che ce la potevo fare, che le seconde possibilità esistono davvero”. E prosegue: “Scandivo i miei giorni pensando a quando sarebbe stato l’incontro successivo. Quelle due ore alla settimana erano uno spiraglio”. Vito lo ascolta e si asciuga le lacrime che gli scorrono sul viso. Sa che nel suo piccolo ha cambiato le cose e che se Giuseppe ce l’ha fatta è anche un po’ grazie a lui e a quel palcoscenico che l’ha fatto sentire meno solo. 


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