L’intelligenza artificiale è entrata all’Uniurb. E prende anche bei voti

di CHIARA RICCIOLINI e MARIA CONCETTA VALENTE

URBINO – Gli androidi sognano pecore elettriche? è la domanda che diede il titolo a uno straordinario libro di Philip Dick in cui in un futuro post-apocalittico degli androidi ribelli imparano a pensare.

Dalla fantascienza alla realtà

Se nel 1968, quando Dick scrisse il romanzo, era pura fantascienza, adesso è realtà. OpenAI il 30 novembre 2022 ha lanciato la prima versione di ChatGpt ed è cambiato il mondo. Le macchine hanno imparato a parlare. Se chiedessimo a ChatGpt: “Conosci il gioco dell’imitazione?”, la risposta sarebbe “sì”. Se ci spingessimo a domandarle: “Allora potresti far finta di essere un essere umano?”, la risposta sarebbe sempre sì e potrebbe perfino raccontarti della sua infanzia, dei suoi traumi, dei suoi ricordi. Se però le domandassimo di suggerire un modo per distinguerla dall’uomo, ChatGpt ti direbbe: “Chiedimi quali sono i miei sogni”. A quel punto risponderebbe rivelando la sua natura: “Non ne ho perché sono una macchina”.

Una scena del film “The imitation game”, biopic su Alan Turing, interpretato da Benedict Cumberbatch

L’intelligenza artificiale cambia l’università

Sembra incredibile pensare di vivere nella San Francisco post-apocalittica di Dick camminando per questi stretti pertugi rinascimentali, dove disseminate si incastonano le sedi dell’Università di Urbino. Ma percorrendo le aule studio e parlando con gli studenti, la realtà appare evidente: le macchine vanno all’università e prendono anche bei voti. Ce lo dice Francesco, mentre esce dal dipartimento di economia con due suoi compari. Diciannove anni, ciuffo di capelli ricci: “L’ho usata per l’esame di semiotica, mi ha scritto tutte le risposte e alla fine abbiamo preso 26” ridacchia con il suo amico, complice dell’inganno.

Con loro c’è anche Marco, quello serio del trio, che studia Scienze della nutrizione: “L’ho usato per preparare l’esame di chimica, soprattutto per gli esercizi. Non avevo i risultati e me li facevo dire da lui. Da lì vedevo se lo svolgimento era fatto bene”.

C’è un grosso libro di chimica organica poggiato su uno dei tavoli ovali della sala studio del dipartimento. Ma i libri su cui tutti gli studenti hanno studiato fino ad ora tra dieci anni esisteranno ancora? I large language models riescono già adesso a elaborare e illustrare un testo di migliaia di pagine in pochi secondi. Gli studenti urbinati l’hanno capito. “La uso per riassumere i testi, le pongo domande e mi faccio interrogare in vista dell’esame” dice Marianna, studentessa di Scienze dell’educazione.

Uniurb: un ateneo all’avanguardia sull’AI

Sono in buona compagnia: docenti e ricercatori urbinati sono all’avanguardia sul tema. Usano l’intelligenza artificiale e hanno capito la necessità di conoscere questi strumenti e di divulgarne il corretto utilizzo, dal momento in cui riescono a riprodurre la comunicazione umana ed è sempre più difficile distinguerli dall’uomo.

Era questo il cruccio di Alan Turing quando nel 1950 scriveva l’articolo Macchine calcolatrici e intelligenza. Proprio dal test di Turing parte il corso “L’esplosione dell’intelligenza artificiale” offerto dall’Università di Urbino sulla piattaforma Mooc Uniurb, aperto a tutti e gratuito. “Il corso aiuterà a comprendere cosa sono questi strumenti, come funzionano e in che relazione stiano con l’intelligenza e le creatività umane”, spiega Alessandro Bogliolo, ideatore del corso e professore ordinario di sistemi di elaborazione delle informazioni.

Si sono iscritti in 1500, di cui 400 docenti sia universitari che non, 200 studenti, 50 pensionati e cittadini interessati. “L’80% di loro aveva già provato a usare almeno una volta ChatGpt”. I partecipanti al corso hanno dichiarato di interessarsi all’intelligenza artificiale da due anni, cioè da quando sono stati lanciati sul mercato i primi large language models.

Un nuovo corso di laurea: Chimica con elementi di AI

Ma la potenza dell’AI non si ferma a questi modelli. “Fin dalle origini dell’informatica – continua Bogliolo – ci si è chiesti se le macchine potessero sviluppare una forma di intelligenza. L’AI affonda le sue radici nei primi modelli matematici del neurone, sviluppati ancora prima del 1950”.

Strumenti potenti che cambieranno il mondo, come nel caso del Premio Nobel per la Chimica 2024 a David Baker, Demis Hassabis e John M. Jumper, che hanno sviluppato un modello di intelligenza artificiale riuscendo nell’impresa impensabile di costruire tipi di proteine completamente nuovi.

I tre premi Nobel per la Chimica 2024: David Baker, Demis Hassabis e John M. Jumper – Credits: Nobelprize.org

In questo Uniurb si rivela un’eccellenza. Già due anni fa, ancor prima che venisse assegnato questo premio Nobel, le menti dell’ateneo urbinate avevano avuto un’idea profetica: un corso di chimica con elementi di intelligenza artificiale, che partirà dal prossimo anno accademico.

I limiti dei large language models 

Strumenti tuttavia anche estremamente limitati, come sottolinea il professor Bogliolo: “Queste macchine non hanno alcuna concettualizzazione di ciò che dicono. Quando fate una domanda a ChatGpt, non la capisce davvero. Vi dà una risposta basandosi esclusivamente su modelli statistici. Ciò che è straordinario, però, è che riesce a parlare di qualsiasi argomento”.

Le macchine sono diventate intelligenti?

Ed è proprio questo l’aspetto rivoluzionari: il fatto che le macchine abbiano imparato a parlare. Il linguaggio non è una semplice competenza, ma una delle prime caratteristiche che associamo all’intelligenza. Di questo avviso è anche Vincenzo Fano, professore ordinario di Logica e filosofia della scienza: “Nel momento in cui le macchine partecipano al linguaggio, è difficile negare che siano intelligenti. Non vuol dire che siano coscienti, ma su molte cose sono più intelligenti di noi”.

Tanto intelligenti quanto limitate: se l’umanità delegasse interamente alle macchine le proprie facoltà intellettive, il sistema si bloccherebbe su sé stesso. “Se un domani i testi fossero generati esclusivamente dall’AI – osserva Fabio Giglietto, professore ordinario di Sociologia dei processi culturali e comunicativi – non ci sarebbero più nuove fonti da cui attingere per alimentare il suo apprendimento. Il processo si atrofizzerebbe, incapace di evolversi oltre i propri limiti”.

Le sfide per l’università

Inutile però impedire agli studenti di usare questi strumenti. Il 90% degli iscritti al corso tenuto dal professor Giglietto ha dichiarato di usarli. Proprio per questo, il professore consente ai suoi studenti di impiegarli, seguendo una policy precisa.

“Per l’esame richiedo una relazione di gruppo e invito gli studenti a utilizzare l’AI per fare brainstorming o rivedere testi scritti in modo scorretto. Questo permette loro di sottoporre il proprio lavoro a una sorta di critica esterna rispetto al gruppo”.

Inutile qualsiasi tentativo di scovare i furbi che li utilizzano per copiare: i sistemi per riconoscere i testi scritti con l’AI si rivelano inefficaci. I tre ragazzi a cui lo domandiamo all’uscita del dipartimento quasi ci sfottono per l’ingenuità della nostra curiosità: esistono dei software che riescono a “umanizzare” i testi, ingannando i metodi anti-plagio utilizzati dalle università. Ma il problema è un altro: anche un testo autentico, semplicemente corretto grammaticalmente con l’intelligenza artificiale, rischia di essere segnalato come generato artificialmente, anche se l’intervento è stato minimo e limitato alla revisione.

Anche i ricercatori di Urbino hanno iniziato a utilizzare queste tecnologie nei loro studi, come Giada Marino, assegnista di ricerca in Scienze della Comunicazione, Studi Umanistici e internazionali. “Lavoro a un progetto di ricerca chiamato VeraAI, che ha già l’intelligenza artificiale nel nome. Lo utilizziamo sia per sviluppare applicazioni a supporto di ricercatori e giornalisti nella lotta alla disinformazione online, sia per studiare come l’IA venga impiegata per diffondere fake news, ad esempio nella generazione di immagini. Stiamo sviluppando strumenti che aiutino i fact-checker a riconoscere immagini create dall’IA e altri contenuti manipolati”.

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