di CARLA IALENTI
URBINO – Il processo per omicidio colposo a carico di Bruno e Benito Benedetti, titolari della Dureco srl, azienda di autotrasporti di Urbania, si è concluso in primo grado con sentenza di assoluzione piena, perché “il fatto non sussiste”.
Gli imputati, difesi dall’avvocato Alfredo Bartolucci, erano accusati della morte di Erminio Granci, autista prima della ditta Bigiemme per otto anni e poi della Dureco per nove anni, aziende di cui gli imputati sono responsabili. I titolari, secondo l’accusa, avevano violato le norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, non formando né informando i dipendenti sulla pericolosità delle polveri di legno con cui entravano a contatto. Costruzione accusatoria che non ha convinto la giudice. “Siamo contenti che la giustizia abbia fatto il suo lavoro”, così Erika Benedetti, responsabile della gestione rifiuti dell’azienda, ha commentato la sentenza.
Il nesso tra il lavoro e il cancro
Granci è morto nel 2016 a 67 anni per un adenocarcinoma sinonasale, un cancro che colpisce soprattutto chi inala pulviscoli. Che la malattia di Granci fosse una conseguenza del suo lavoro era stato riconosciuto dall’Inail, che si è costituito parte civile in questo processo con l’avvocato Vittorio Ceccarini, già prima della morte.
Cruciale ai fini del processo e per capire l’assoluzione è la tempistica dell’attività lavorativa di Granci. Tra la fine dell’attività in Bigiemme e l’inizio di quella in Dureco c’è un buco di 12 anni, tra il 1994 e il 2006, anni in cui l’uomo aveva lavorato in proprio e per altre ditte. E in più solo nel 1997, quando aveva già finito l’attività in Bigiemme, la legge ha riconosciuto che la polvere di legno, se inalata a lungo, può causare il cancro.
Durante il processo l’avvocato della difesa Bartolucci ha ricordato come Granci fosse il solo ad aver contratto l’adenocarcinoma alla Dureco, ma ha anche sottolineato come fosse un fumatore e non fosse l’unico malato di cancro nella sua famiglia.
La pm: “violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro”
La pubblico ministero Enrica Pederzoli aveva chiesto alla giudice Benedetta Scarcella la condanna per omicidio colposo a un anno e otto mesi per entrambi gli imputati, “per violazione delle disposizioni in materia di sicurezza sul lavoro”, ricordando la testimonianza della medica Cancellieri dell’azienda sanitaria, secondo cui Granci si sarebbe ammalato nel 2015, perché “lavorava in un luogo polveroso”.
I testi: “I lavoratori indossavano la mascherina”
Ma quella della medica è stata, ricorda la difesa Bartolucci, l’unica voce dissonante. “I dipendenti della Dureco, compreso lo stesso Granci – l’autista deceduto per cancro ndr – hanno detto che indossavano i dispositivi di sicurezza”. Nella precedente udienza del 22 ottobre i tre testi, un consulente tecnico e due dipendenti della Dureco avevano fornito la stessa versione: i lavoratori indossavano la mascherina e Granci non era a contatto con le polveri.
Danilo Divani, consulente per la sicurezza da vent’anni per la ditta della famiglia Benedetti, era stato sentito come consulente tecnico. Il teste aveva detto con convinzione che “i dipendenti della Dureco usavano la mascherina” nel periodo in cui Granci lavorava per l’azienda, e aveva aggiunto di averli visti “tante volte”. Secondo il tecnico, Granci era l’unico morto per quel tipo di cancro: “Non ci sono e non ci sono stati altri con la stessa malattia in azienda”.
Poi due autisti della Dureco avevano confermato che i dipendenti indossassero i dispositivi di sicurezza. “Venivano usati guanti, mascherine e occhiali” aveva detto Claudio Baldelli, autista dal 2001 e collega di Granci. E sul rischio aveva ribadito: “Gli autisti come Granci stanno in cabina, non a contatto col legno, ma se devono scendere usano i dispositivi di sicurezza”.
I dubbi anche dell’Inail
Anche l’avvocato della parte civile, l’Inail appunto, Vittorio Ceccarini aveva dubbi sull’accusa portata avanti dal pm. “Il contatto – aveva dichiarato al Ducato – con le polveri di legno è stato maggiore negli anni ’80, quando la vittima lavorava per la Bigiemme”, quindi nel periodo in cui la legge sulla pericolosità del pulviscolo era ancora poco chiara. E durante l’udienza di oggi ha ricordato che “come per l’amianto il cancro per le polveri di legno può manifestarsi anche dopo decenni”.