Giacomo Meliffi da Urbania sulle vette della Patagonia: “Così abbiamo salvato tre ragazzi sul Fitz Roy”

L'alpinista Giacomo Meliffi sulle vette della Patagonia
di ANNALISA GODI

URBINO – Il cielo e i venti scandiscono i ritmi delle giornate in Patagonia, stabiliscono che cosa si può fare e cosa no. Gli stessi ritmi che l’alpinista Giacomo Meliffi, 29 anni di Urbania, ha dovuto rispettare quando a febbraio ha scalato le pareti rocciose del monte Fitz Roy e dell’aguja di Media Luna assieme all’Eagle team del Club alpino italiano (Cai).

Un’esperienza irripetibile, dove Meliffi e il suo compagno di cordata Marco Cordin hanno partecipato al salvataggio di tre ragazzi cileni, rimasti bloccati sulla parete del Fitz Roy.

Tre mesi alla scoperta delle vette del Sudamerica

Il viaggio di Meliffi in Sudamerica, però, è iniziato due mesi prima, a dicembre. “È un luogo in cui non capita spesso di andare e per ridurre al minimo l’inquinamento causato dall’aereo ho deciso di passare più tempo in Sudamerica e conoscere di più i posti e le persone”, spiega l’alpinista.

Giacomo Meliffi a cavallo in Cile

Assieme alla fidanzata Carima Grunder, alpinista svizzera, a dicembre ha scalato il vulcano Villarrica in Cile. Poi entrambi hanno fatto i volontari con Workaway (portale per scambi culturali in tutto il mondo) in una fattoria cilena: il mattino lavoravano, mentre il pomeriggio esploravano i dintorni a cavallo. Un fine settimana sono anche riusciti a salire sul Cajón del Maipo, un canyon situato nella regione di Santiago del Cile.

A gennaio la coppia è stata raggiunta da Alessandra Prato, anche lei membro dell’Eagle team, selezionata per affrontare la spedizione del Cai in Patagonia. I tre hanno scalato le pendenze della valle del Cochamó, nella regione di Los Lagos, sempre in Cile. “Abbiamo caricato il materiale da scalata e le provviste sui cavalli, abbiamo camminato quattro ore per arrivare al punto di accampamento, poi da lì abbiamo continuato a piedi per circa tre ore”, continua l’alpinista. Meliffi, Prato e Grunder sono rimasti qui per tre settimane e hanno sia percorso itinerari già battuti, sia hanno provato ad aprirne altri, a volte senza successo.

Giacomo Meliffi sul Cajón del Maipo

A febbraio Meliffi e Prato hanno raggiunto gli altri membri dell’Eagle team per iniziare la spedizione, tra loro c’era anche Dario Eynard, con cui Meliffi aveva affrontato il viaggio nel parco del Sarek, nella Lapponia svedese. “Alessandra ed io abbiamo preso un autobus a due piani per raggiungere El Chalten, (la cittadina che ha fatto da base per la spedizione, ndr). Abbiamo avuto la Pampa argentina davanti ai nostri occhi per 36 ore”, dice il durantino.

Il cordone di salvataggio

Il gruppo della spedizione (composto anche da Cordin, Luca Ducoli, e Camilla Reggio) si è riunito a El Chalten in attesa di una finestra di bel tempo per poter scalare vette famose come il Fitz Roy e il Cerro Torre. L’impresa non riesce, se non per una salita sull’aguja di Media Luna. Poi arriva la richiesta di soccorso.

Al rientro, il team viene contattato dal Club alpino delle Ande: stanno cercando due cordate per una spedizione di salvataggio. Tre ragazzi cileni, un ragazzo e due ragazze, sono dispersi da cinque giorni sulla parete del Fitz Roy. Meliffi e Cordin si offrono volontari. “I soccorritori pensavano che fossero morti perché non si muovevano più da due giorni, poi grazie a un drone sono riusciti a vedere che i ragazzi avevano iniziato a muoversi di nuovo”, racconta l’alpinista.

I sei membri dell’Eagle team del Club alpino italiano in Patagonia

Nell’altra cordata ci sono Sean Villanueva, alpinista belga già noto per aver attraversato in solitaria il massiccio del Fitz Roy, e un medico, Juan. Un terzo gruppo si trova già sulla parete e sta cercando di raggiungere i tre dispersi. “Quando siamo partiti avevamo un po’ paura, perché eravamo stanchi e stavamo andando in una valle che non avevamo visto prima. Ci siamo resi conto che si trattava di una situazione in cui correvamo un reale pericolo”, continua Meliffi.

Meliffi, Cordin, Villanueva e il medico Juan si incamminano fino alle pendici del Fitz Roy, dove allestiscono un campo base per ricevere i tre ragazzi. Qui scavano un igloo, prevedendo che le condizioni meteo sarebbero peggiorate e tutti si sarebbero dovuti riparare lì dentro. Nel frattempo, la cordata che si trovava sulla parete riesce a raggiungere i dispersi che hanno iniziato a calarsi autonomamente, grazie anche all’aiuto di un drone, che muovendosi indica loro dove scendere. “Quando sono arrivati, il medico e una delle ragazze hanno dormito nell’igloo. Lei aveva un principio di congelamento a una mano e a un piede, perché aveva perso uno scarpone ed è dovuta scendere scalza, sono stati sei giorni molto duri per loro” racconta Meliffi.

Giacomo Meliffi scava l’igloo per il soccorso dei ragazzi cileni

La sera il gruppo festeggia la riuscita dell’operazione di salvataggio con l’asado, un arrosto tipico argentino, e scaricano la tensione della giornata parlando dei momenti più difficili e scherzando. Il giorno dopo il salvataggio, i tre ragazzi vengono portati via in elicottero: “Un evento raro, perché in Patagonia i venti sono sempre molto forti e ne impediscono il volo”, spiega l’alpinista.

La fine della spedizione

Dopo la missione di salvataggio, Meliffi e Cordin sono tornati a El Chalten dove insieme agli membri dell’Eagle team hanno aspettato che tornassero condizioni meteo favorevoli. Una nuova finestra di bel tempo si è ripresentata e i due sono partiti per scalare la Torre Egger, la stessa che su cui non sono riusciti a salire durante la prima uscita. I due sono arrivati alle pendici della montagna e si sono accampati per la notte, ma la sfortuna ha voluto che nella valle l’acqua era contaminata. Non sapendolo, Cordin ha bevuto ed è stato male.

Giacomo Meliffi sulla parete dell’aguja di Media Luna, apre la via “Jinateada”

Di fronte alle condizioni di salute di Cordin, i due hanno deciso di rinunciare a quella vetta, ma presto si sono riuniti con gli altri membri dell’Eagle team: Prato, Reggio e Faletti. “Mi sono ricordato di aver visto una linea sull’aguja di Media Luna, quindi Camilla ed io abbiamo deciso di salire e provare ad aprire una nuova via di 400 metri che si collega ad un percorso già creato da altri. L’abbiamo chiamata “Jinateada”, come il rodeo che fanno i gaucho argentini, perché durante la scalata abbiamo cercato di stare in sella come fanno loro”, commenta ridendo l’alpinista.

Meliffi da questa spedizione si porta a casa un bagaglio pieno di esperienze: ha visto come agiscono i soccorritori in altre parti del mondo, ha scalato pareti ripidissime, molto diverse da quelle alpine a cui è abituato, e ha conosciuto le popolazioni andine del Cile e dell’Argentina. “Mi sono sentito accolto e ho visto tanta solidarietà muoversi attorno a noi, in particolare quando Marco ed io stavamo andando a soccorrere i tre ragazzi dispersi: i portatori ci hanno accompagnato con i cavalli fino a poco prima del ghiacciaio per risparmiarci il peso degli zaini, a metà sentiero le persone ci portavano il cibo, ognuno ha dato il suo piccolo contributo”.

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