di LORENZO CIPOLLA
FANO – Sullo schermo appare un ragazzo nella sua camera, con una libreria traboccante sullo sfondo, che aiutandosi con qualche parola inglese – forse coniata sul momento – gesticola, fa smorfie e parla di libri. O meglio, recensisce. Il protagonista della clip è il booktuber Matteo Fumagalli. Su YouTube gestisce un canale in cui commenta, a metà tra la critica e l’ironia, e consiglia (o sconsiglia) libri di tutti i tipi con un linguaggio molto “pop”. E’ un esempio di contaminazione tra cultura ‘alta’ e ‘bassa’ che viaggia sui social media. Un’operazione per raggiungere e coinvolgere gli adolescenti che potrebbe – nella speranza di qualcuno – estendersi anche alla didattica nelle scuole. Uno strumento meno frontale e più partecipativo.
Del resto le sue videorecensioni vengono mostrate a scuola da diversi insegnati di liceo, “almeno quelle che parlano dei classici” continua il booktuber da 73.000 follower
Del ruolo e delle opportunità che offre la tecnologia per promuovere il sapere e l’informazione hanno discusso, in un dibattito moderato dal condirettore del Festival del giornalismo culturale e conduttore radiofonico Giorgio Zanchini, Fumagalli, il giornalista Rai Filippo Nanni, il sociologo Giovanni Boccia Artieri, la consulente di comunicazione Mafe De Baggis e la giornalista Margherita Belgiojoso. L’incontro ha acceso anche il pubblico, che è spesso intervenuto con domande e spunti di riflessione, in un contraddittorio aggiunto.
Il digitale ha sorpassato l’ ‘uomo di cultura’ legato ad ambienti accademici e tomi polverosi. Aprendo un mondo ai nativi digitali. “Parliamo dei new millennial learners, i nati tra il 1995 e il 2015”, spiega Boccia Artieri, “con una soglia dell’attenzione più breve e focalizzata su diverse attività, hanno una cultura del rapporto con l’altro più partecipativa e sono abituati a formarsi da soli le proprie opinioni navigando sui motori di ricerca”, continua.
L’interazione e la partecipazione che muove i social si può utilizzare non solo per far scoprire qualcosa ai ragazzi ma anche per stimolarne la creatività e la fantasia. Boccia Artieri e De Baggis concordano che col digitale si può ribaltare l’educazione e la formazione dei ragazzi in classe, rendendoli protagonisti e attivi. “La scuola non dovrebbe limitarsi a mostrare i video, dovrebbe far produrre ai ragazzi delle videorecensioni da postare”, sostiene il sociologo. Anche i videogiochi offrono nuove strategie formative, spiega De Baggis: “Quando giocavo ai videogames c’era una mascherina con le istruzioni del gioco, in quelli di oggi come Fortnite non ce ne sono più. Niente manuali: imparare a giocare fa parte del gioco. Si dovrebbe fare a scuola, far scoprire ai bambini e ai ragazzi quello che gli vogliamo insegnare”.
A far da contraltare, la voce di Belgiojoso che sottolinea le criticità di alcuni concetti espressi da Boccia Artieri: “Lo studio è lentezza, fatica e concentrazione. Se si segue continuamente ogni propria curiosità non si arriva mai in fondo. È una semplificazione eccessiva dire la propria opinione in due righe su Twitter, piuttosto mi leggo un editoriale”.
In una nuova fase dello scontro fra ‘apocalittici e integrati’ – preoccupati per la scomparsa delle forme e dei contenuti tradizionali i primi, favorevoli invece all’evoluzione i secondi – è necessaria, secondo Boccia Artieri, la figura di un traghettatore culturale che conduca attraverso “una transizione evolutiva che richiederà del tempo”.