di ELIA FOLCO
URBINO, 6 MAR – Nega di aver mai usato la violenza per ‘convincere’ il debitore a restituire il denaro che aveva l’incarico di recuperare. Gennaro D’Amore, imputato al processo per tentata estorsione a Urbino verso l’imprenditore Diego Cecchini (che è parte lesa) si è presentato questa mattina davanti al Tribunale collegiale, presieduto da Massimo di Patria, per difendersi dalle accuse. Assieme a lui è accusato del reato in concorso e aggravato anche Francesco Vallefuoco, già condannato in via definitiva per reati con aggravante mafiosa, in Romagna, connessi alla sua attività di recupero crediti.
Durante l’udienza di mercoledì si è presentato solo D’Amore: “Gli ho parlato al telefono per convincerlo, non gli ho mai dato pugni – ha detto D’Amore – mi interessava solo essere pagato per il mio lavoro”. Durante l’udienza ha anche detto: “Io lavoravo per Vallefuoco anche se non ero stato assunto da lui. Mi aveva detto che c’era da fare un lavoro a Pesaro-Urbino e che avrebbe pagato 500 euro, come ha fatto.” In tutto sono nove gli imputati, compreso Carlo Marini, l’imprenditore di Petriano che aveva assoldato i Vallefuoco e il suo ‘clan’.
Il fatto risale al 2010, quando Marini, per recuperare i soldi che aveva prestato a Cecchini, si era rivolto alla società di recupero crediti Ires, gestita da Francesco Vallefuoco. L’accusa è di aver utilizzato mezzi intimidatori per riscuotere il debito da parte del creditore e della compagnia, testimoniati da alcune intercettazioni telefoniche della Direzione distrettuale antimafia di Bologna. Al momento, oltre a Vallefuoco, sono detenuti anche Salvatore Lionetti e Pasquale Perrone.
L’8 maggio 2019 il collegio, composto da Massimo Di Patria, Andrea Piersantelli e Alessandra Conti, sì riunirà in udienza straordinaria alle ore 9:30 per esaminare i testimoni delle difese di D’Amore e Vallefuoco.