di CHIARA UGOLINI
URBINO – Un terzo di prodotti in meno. Tanto sono costati all’agricoltura marchigiana, nel 2018, tutti quei fenomeni anomali attribuibili al cambiamento climatico. Un po’ meno che in altre zone del paese, come il Nord, dove in media, il danno ha raggiunto il 50 per cento. “Negli ultimi dieci anni – dicono alla Coldiretti – l’agricoltura italiana ha perso in tutto oltre 14 miliardi di euro”.
Aumento di temperatura, siccità, gelate improvvise, piogge brevi e abbondanti. Il territorio marchigiano è sempre più segnato da stagioni estive calde e secche e inverni miti con il freddo ridotto solo a singoli episodi, non sufficienti a eliminare gli insetti dannosi alle produzioni. A dirlo alcune aziende agricole della zona, l’Agenzia per i servizi nel settore agroalimentare della regione marchigiana (Assam) e i rappresentanti di tre enti di categoria, Cia, Coldiretti e Confagricoltura.
L’anno scorso i prodotti più colpiti sono stati girasole, vite, ulivo e frutta, da quest’anno in pericolo anche i cereali: gli unici che fino ad adesso non avevano subito ingenti danni sono stati messi in difficoltà dalle temperature elevate e soprattutto dalle scarse precipitazioni del mese di febbraio. “Il danno ora non si vede, ma potrebbe esserci – dice Tommaso Di Sante, presidente regionale della Coldiretti – a luglio, al momento della raccolta, ci sarà la resa dei conti”. “C’è il rischio di un altro calo del 30/40%”, continua.
Gli esperti
“E’ difficile stabilire quanto il cambiamento climatico abbia influito sul calo delle produzioni “, dice Angela Sanchioni, specialista in agrometeorologia all’Assam – organizzazione che studia e effettua ricerche nell’ambito del settore agronomico e biologico nel territorio marchigiano. “Bisogna considerare piuttosto i singoli fenomeni – continua – come le viti danneggiate dall’intensa gelata tardiva degli ultimi giorni di aprile del 2017 e dalle siccità estive. O gli olivi compromessi dalla forte gelata di fine febbraio 2018, avvenuta dopo un periodo piovoso e caldo”.
Rilevanti sono anche i flash flood, le cosiddette ‘bombe d’acqua’, grandi quantità di pioggia che possono provocare alluvioni o frane. “Un clima più caldo favorisce una maggiore evaporazione, quindi un maggior contenuto di acqua (umidità) nell’aria. Ciò implica un maggior quantitativo ‘di carburante’ per gli eventi estremi di pioggia che quando accadono hanno più acqua a disposizione e quindi potranno presentarsi con maggiore intensità”, il meteorologo Danilo Tognetti. Possono rappresentare un vero pericolo per i raccolti soprattutto quando questo tipologie di piogge si presentano sotto forma di grandine o a seguito di un lungo periodo di siccità, che ha reso i terreni troppo aridi: il rischio è buttare via tutto il coltivato.
Le voci
Le mezze stagioni ormai non esistono più: frase fatta o meno la preoccupazione è tanta. A confermarlo anche Confagricoltura, organizzazione che rappresenta alcune delle imprese agricole nella regione: “Fino a due settimane fa era stata dichiarata l’emergenza idrica per le coltivazioni di cereali, non pioveva da un mese”. Della stessa posizione è anche la Cia, Confederazione italiana agricoltori delle Marche: “Per porre rimedio ai danni subiti dalle piante ci vorranno anni”.
I costi aggiuntivi per le aziende agricole non sono pochi: per fronteggiare la siccità, una soluzione è stata servirsi di nuovi impianti di irrigazioni che “sprecano” meno acqua. Nemmeno il contributo a fondo perduto messo a disposizione dell’Unione Europea riesce ad alleggerire le spese degli agricoltori, assicura il presidente regionale della Coldiretti Di Sante anche proprietario di un’azienda vitivinicola biologica a Fano. Dopo aver inoltrato la richiesta del finanziamento nel 2016, solo oggi si è visto giungere il 60% dei fondi previsti.
“Il problema climatico andrebbe affrontato anche da un punto di vista morale – ribadisce Di Sante – le Marche, dopotutto, sono una regione che è stata già messa in ginocchio dal terremoto del 2016”.