di Valerio Sforna
URBINO – “Colui che ha ucciso mio fratello qualche ora dopo aveva a casa uno psicologo, perché doveva superare il trauma, a casa nostra non è venuto nessuno”. Con queste parole Marco Scarponi, fratello del ciclista Michele Scarponi – morto il 22 aprile 2017, a causa di un incidente stradale durante un allenamento a Filottrano -, ha aperto il convegno “In bici contro la violenza stradale”, andato in scena mercoledì pomeriggio a Urbino negli spazi Data di Borgo Mercatale. L’appuntamento rientra negli eventi del Pat festival, organizzato dalla Fondazione Michele Scarponi
Piede a terra
Pat è l’acronimo di “piede a terra”, un gesto che ha segnato la carriera di Michele Scarponi e la storia del ciclismo moderno. Per sempre.
È il 27 maggio 2016 ed è in corso la 19esima tappa del Giro d’Italia. Scarponi, che si è lasciato alle spalle il gruppo della maglia rosa, viene avvertito dell’inaspettata caduta del leader della corsa. Nel tratto di falso piano, davanti a tutti e con la vittoria di tappa in pugno, “l’aquila di Filottrano” decide di fermarsi per aspettare il suo capitano, Vincenzo Nibali, che dopo la caduta della maglia rosa è tornato in corsa per la vittoria finale. Non ci pensa neanche un attimo. C’è un Giro da vincere e a vincerlo deve essere Nibali. Scarponi mette il “piede a terra”, aspetta Vincenzo e lo scorta verso la vittoria sulla salita di Risoul e alla conquista della maglia rosa. Un gesto da gregario puro, di chi rinuncia al successo personale per regalare la vittoria al collettivo, alla squadra. Questa immagine di Scarponi non a caso è il simbolo del logo della Fondazione che porta il suo nome. Mentre racconta queste cose, Marco Scarponi si commuove.
Una società accecata dal rito della velocità
“Nel 2017 più di 3.000 persone sono morte a causa della violenza stradale, circa 17.000 sono rimaste ferite gravemente, nel senso che non possono più mangiare o muoversi da sole” spiega Scarponi. “A uccidere mio fratello non è stato il caso: sono i comportamenti sbagliati degli uomini che uccidono. Tutti conoscono le cause e le soluzioni, ma nessuno le applica. Con la morte di Michele il panorama mi è apparso più chiaro. Quando si parla di sicurezza in Italia, la mente corre subito al terrorismo. Sapete quante persone sono morte in Italia a causa del terrorismo dal 2001 ad oggi? Nessuna. 30.000 sono invece i morti sulla strada“.
Scarponi spiega poi i motivi che lo hanno portato a creare la fondazione: “Dopo la morte di Michele c’era tanto dolore, tanta rabbia che io e i miei familiari dovevamo incanalare in qualcosa di concreto. La violenza stradale è un problema gravissimo. Chi muore sulla strada? I più fragili: pedoni e ciclisti. Ogni giorno muoiono due pedoni. Ai ciclisti ‘va meglio’: ne muore uno ogni 35 ore. Eppure tutti noi continuiamo a correre, la nostra società è accecata dal rito della velocità. Le auto negli spot sono esaltate per la potenza, le prestazioni. Tutto questo è sbagliato, tutto questo uccide la gente”.
Tra gli obiettivi della fondazione troviamo la promozione di progetti socio-sanitari, l’assistenza concreta alle famiglie delle vittime della strada e la sensibilizzazione verso una mobilità sostenibile sempre più a misura d’uomo dove l’utenza fragile sia valorizzata, protetta e rispettata.
I luoghi comuni e le scuse
Manuel Massimo, direttore responsabile di Bikeitalia.it, non ha dubbi, la colpa è anche dei mass media che non raccontano la strage stradale. “Bisogna inquadrare il contesto – spiega Massimo – l’Italia ha costruito le sue città pensando solo alle quattro ruote. È la prospettiva ad essere sbagliata. I giornali, la tv, la radio filtrano la realtà in maniera errata, ne danno una rappresentazione distorta. Mi sono divertito a raccogliere alcuni dei luoghi comuni giornalistici più assurdi. Spesso leggiamo sui giornali ‘non ce l’ha fatta’ come se dipendesse dalla vittima sopravvivere. Oppure sentiamo ‘travolto dall’auto’ come se il pedone fosse distratto. Per non parlare del termine ‘pirata della strada’ una cosa che esiste solo in Italia”.
Non ci sono però solo i luoghi comuni: “Ci sono anche le scuse più assurde, come ‘non ho visto il pedone’, dietro cui si rifugiano coloro che hanno investito una persona per minimizzare comportamenti errati e sconsiderati. Le cronache nel raccontare (o nel non raccontare) in maniera superficiale l’ecatombe della violenza stradale ‘spalleggiano’ gli automobilisti. Non esistono ‘strade killer’ o ‘curve della morte’. Basterebbe dire la pura e semplice verità: se il conducente avesse rispettato i limiti di velocità e il codice della strada non sarebbe successo nulla, punto”.
Massimo chiude il suo intervento con una provocazione: “Come dicevo prima è la prospettiva ad essere errata, spesso non sono cervi che attraversano la strada ma sono le strade ad attraversare i boschi”.
La soluzione è il controllo della velocità
Alfredo Giordani, referente della rete #vivinstrada, è convinto che solo il controllo della velocità può proteggere gli utenti deboli della strada. “Secondo un recente sondaggio – illustra Giordani – tra i cinque comportamenti dichiarati più pericolosi dai conducenti troviamo all’ultimo posto, col 3%, la guida in stato d’ebrezza e al primo posto, con il 41%, l’eccesso di velocità”.
Secondo Giordani la velocità va controllata: “Il sistema tutor, nelle autostrade, ha ridotto del 45% le vittime di incidenti stradali. Un’ottima soluzione potrebbe essere l’Isa (Intelligent speed adaption), il sistema per la limitazione automatica della velocità sui veicoli a motore. Qualche settimana fa la Commissione europea ha approvato questo sistema di assistenza. Adesso la parola spetta al Parlamento europeo, che vorrebbe rendere obbligatorio l’Isa dal 2022. Questa legislatura, ormai al termine, non riuscirà a farlo ma ci auguriamo che la prossima riuscirà ad approvare i nuovi standard di sicurezza”.
Gli altri interventi
A rappresentare il Comune di Urbino c’era la Consigliera delegata allo sport, Marianna Vetri. A margine del workshop sono intervenuti il professor Ario Federici dell’Uniurb che ha parlato di “Tutela della salute e prevenzione degli infortuni e degli incidenti nello sport” e il professore Manolo Farci con un seminario sulle “Biciclette 2.0. Come il digitale può migliorare la sicurezza stradale”. A concludere l’evento Michele Pompili, presidente dell’Asd Ciclo Ducale, Piergiorgio Guelpa, del centro nazionale Pedalo sicuro e l’organizzatore Michele Spagnuolo, dell’associazione culturale Pindaro.