di GIULIA CIANCAGLINI
URBINO – Artisti professionisti e dilettanti provenienti dai paesi più lontani del mondo con una passione in comune: l’acquerello. Argentini, serbi, iracheni, giapponesi, messicani con il pennello in mano. In questi giorni fino a domenica 5 maggio, camminando nel centro di Urbino, è possibile osservarli mentre dipingono la struttura di Palazzo Ducale o mentre tentano di copiare,
aiutandosi con le riproduzioni su stampa, le opere più famose di Raffaello e di Piero della Francesca. Le piazze e le vie si sono già riempite di cavalletti, acqua, colori e fogli di carta di ogni misura.
Il festival internazionale UrbinoInAcquerello compie quattro anni: l’evento, promosso dalla professoressa Soha Khalil fondatrice dell’omonima associazione, è la naturale prosecuzione di quello fabrianese e vuole creare una rete per gli amanti, professionisti e non, di questa tecnica. Il programma del festival, inaugurato il primo maggio, propone un susseguirsi di laboratori, incontri, en plein air, dimostrazioni per gli studenti delle superiori e dell’università, mostre e spettacoli.
Per quattro giorni la città sarà un luogo di scambio culturale e artistico come ai tempi del Rinascimento, quando gli artisti si incontravano nel Palazzo Ducale. Anche le scuole della provincia di Pesaro e Urbino sono chiamate a partecipare e per i bambini è previsto uno spazio-gioco con l’acquerello, in collaborazione con le insegnanti dell’infanzia e gli artisti. Non ci sarà spazio soltanto per opere effimere: nei giorni del Festival saranno inaugurate due mostre negli spazi della Data, che rimarranno aperte per un mese.
L’acquerello è una tecnica che molto spesso è stata screditata – come ha spiegato Paolo Guidi, preside della scuola Pascoli di Urbino – dalla storia dell’arte: “L’acqua, ingrediente essenziale, non si ferma sulla carta ma scivola prima di essere assorbita e, dopo essere stata mescolata al pigmento, è difficilmente correggibile”. La sua autonomia potrebbe essere considerata un difetto perché rischia di far venir meno la creatività dell’artista ma rende indispensabile una qualità: la rapidità di decisione. L’estro artistico non viene limitato, ma velocizzato ed esaltato nella visione immediata della forma.
[aesop_gallery id=”272049″ revealfx=”inplace” overlay_revealfx=”off”]Per realizzare un acquerello sono sufficienti tre elementi: l’acqua, il pigmento e la carta. Non a caso il festival ha ospitato un convegno dal titolo “La carta, 800 anni e non sentirli”, tenuto dal professore Franco Mariani, ex dirigente dell’istituto superiore per le industrie artistiche Isia.
“Quando voi – ha detto, rivolgendosi agli artisti – date da bere alla carta lei torna a vivere”. Il docente di storia del libro e della carta ha ricordato il lungo viaggio che la carta ha intrapreso per arrivare in Italia. Inventata in Cina, nel Settimo secolo è stata portata in Europa dagli arabi attraverso il Nord Africa e la Spagna. Intorno al 1150 l’approdo sulle nostre coste grazie ai mercanti genovesi.
Gli italiani hanno poi adattato questo materiale alle proprie esigenze. “Il merito italiano è quello di aver incollato la carta con colla animale – racconta il professore – l’amido di farina, usato dagli arabi, non rendeva la carta abbastanza impermeabile e quindi non impediva la dispersione sul foglio dell’inchiostro acquoso. L’amido poi, in climi temperati e umidi come quello italiano, fermentava e si mangiava la carta”.
L’invenzione però è figlia del caso: “Sicuramente qualche foglio di carta sarà caduto in un paiolo dove bollivano gli scarti di animale”, ha spiegato. Spesso nelle antiche cartiere infatti le famiglie vivevano, e quindi mangiavano, nello stesso luogo dove si produceva la carta. “Se non ci fosse stata una mente sveglia si sarebbe persa la possibilità di un’invenzione”, ha detto sorridendo il professore. E ha riproposto questa sua teoria anche per l’invenzione della filigrana: il sistema per riconoscere la provenienza di un foglio di carta nasce dalla rottura di uno dei fili metallici tesi del telaio utilizzato per fare la carta. “Se un filo si spezza fa un riccio, un tondo, che in controluce è perfettamente visibile e riconoscibile”. Nel periodo di massima fiorita della produzione cartaria, solo a Fabriano, giravano fogli di carta con 300 filigrane diverse.
“Con 800 anni e una lunga storia alle spalle – ha garantito il professore – la carta fatta a mano non sarà sostituita e avrà ancora davanti a sé, come minimo, 400 anni. Perché, nonostante le nuove tecnologie come cd, chiavette usb, archivi online, rimane l’unico supporto sicuro”. Le biblioteche di tutto il mondo, secondo le sue parole, continuano a stampare e a ristampare su carta “di lunga durata” – che ha una garanzia di resistenza di 200 anni – i classici di tutti i tempi perché questo rimane l’unico modo per salvarli.