di LUCA GASPERONI
URBINO – Nel giorno in cui si celebra la giornata mondiale della libertà di stampa, un report del Consiglio d’Europa chiama in causa alcuni esponenti del governo italiano tra i problemi che affliggono il giornalismo nostrano. Il dossier annuale viene diffuso in occasione della celebrazione, istituita nel 1991 dall’assemblea generale delle Nazioni Unite per il 3 maggio, omaggio alla dichiarazione di Windhoek.
Il governo sul banco degli imputati
A destare preoccupazione ci sono i “crescenti attacchi verbali alla stampa” – talvolta anche da parte di istituzioni e politici – “la diffusione della disinformazione attraverso i media e le fake news” che la relazione individua come responsabili spesso di alimentare un clima cavalcato da alcuni politici. Questo poi porta, per esempio, “alla legislazione restrittiva nei confronti delle Ong”.
Dinamiche che possono suonare familiari. Nel 2018 Il vicepremier grillino Luigi Di Maio, etichettava i giornalisti come “infimi sciacalli” e il compagno di partito, Alessandro Di Battista, li definiva “pennivendoli e puttane”. Il ministro dell’Interno Matteo Salvini, intanto, accusava le Ong di essere “complici dei trafficanti umani”, per poi varare il Decreto Sicurezza.
“In Italia il vice primo ministro e leader del Movimento 5 Stelle Luigi Di Maio ha chiesto alle imprese detenute dallo Stato di smettere di fare pubblicità sui giornali e ha annunciato piani per una riduzione dei contributi pubblici indiretti ai media nella legge di bilancio del 2019″ con il fine di indebolire i giornali e l’indipendenza dei media, denuncia il rapporto.
La difficile sfida del giornalismo italiano
La situazione italiana dunque è tutt’altro che incoraggiante. “Il giornalista italiano fa un mestiere durissimo. È come un pompiere che viene mandato a spegnere il fuoco senza guanti, senza casco, senza stivali – spiega Alberto Spampinato, direttore dell’associazione Ossigeno per l’informazione – rischia molto: può essere chiamato in tribunale per dimostrare di aver detto la verità, può essere oggetto di pressioni, minacce, violenze. Insomma non è tutelato abbastanza.”
Ossigeno per l’informazione è un osservatorio istituito nel 2008 con il patrocinio della Federazione nazionale stampa italiana (Fnsi) e dell’Ordine nazionale dei Giornalisti (Odg) per documentare e analizzare il crescendo di intimidazioni e minacce nei confronti di chi lavora nell’informazione.
Per Spampinato, giornalista parlamentare, i principali problemi che un giornalista italiano deve affrontare sono i processi in tribunale e le costanti intimidazioni che restano impunite: “La legge penale per la diffamazione è una legge carogna che serve a manganellare, a mettere in dubbio la credibilità dei giornalisti e il 90% delle minacce rimane ancora impunito. Questo incide, perché la gente non ha paura di ricorrere alla violenze se il rischio è basso”.
Non c’è democrazia senza libertà di espressione
“Garantire un ambiente favorevole per i media indipendenti è una sfida per tutte le democrazie – dice il report – l’influenza dei governi e dei forti interessi economici devono essere sempre limitati per permettere ai media di proteggersi dai tentativi di controllarli”.
Il Consiglio d’Europa segnala un regolare aumento della violenza e delle intimidazioni contro i giornalisti europei: un esempio sono i casi della maltese Daphne Caruana Galizia e dello slovacco Jan Kuciak, uccisi mentre indagavano sulla corruzione e la criminalità organizzata.
Il caso di Radio Radicale
Ma ci sono modi anche più sottili per limitare l’indipendenza dei media e il pluralismo dell’informazione. L’esempio di Radio Radicale, in questo caso, è emblematico. L’emittente radiofonica – dal 1976 dedita alla politica nazionale – rischia di chiudere perché non è ritenuta un servizio di informazione pubblica.
Il sottosegretario con delega all’editoria Vito Crimi ha chiesto una nuova gara per le assegnazioni delle frequenze. Il dissenso del mondo giornalistico, così come degli ascoltatori, è stato unanime. Manifestazioni, raccolte firme, dichiarazioni e critiche da tutto il mondo politico e giornalistico.
Tuttavia né la forte risposta popolare, né la morte pochi giorni dopo l’annuncio di una delle storiche voci di Radio Radicale, Massimo Bordin – direttore dal 1990 al 2011 – sono riuscite a far cambiare idea al governo.
Il margine di errore e di percezione
All’interno della relazione del Consiglio d’Europa, oltre all’Italia sono citate anche la Turchia, per la chiusura e la confisca di tre giornali dopo il fallito colpo di stato del 2016, la Serbia, l’Ungheria e la Russia. Ma la nostra situazione è davvero grave quanto la loro?
“Assolutamente no – risponde deciso Spampinato – Reporter senza frontiere, così come il Consiglio d’Europa inviano questionari, fanno domande a campione e sondaggi per ottenere informazioni. Il risultato: le classifiche si appoggiano maggiormente sulla percezione dei fenomeni piuttosto che su dati scientifici. Senza contare poi che in molti paesi è la stessa censura statale a impedire la segnalazione di violazioni. La situazione in Italia non è così grave come viene dipinta”.