di LINDA CAGLIONI
URBINO – “Solo Dio sa come è stato”. Questa frase Michael Obomicl, nigeriano di 28 anni, la pronuncia in un italiano perfetto, quando gli si chiede di descrivere il viaggio che nel 2017, dalla città di Lagos, l’ha visto arrivare a Urbino. “Ho camminato per chilometri e chilometri nel deserto, lungo un tratto dove muore un sacco di gente. È stato un viaggio terrificante. Ma io volevo rendere migliore la mia vita”. Testimonianze consegnate in occasione della Giornata Mondiale del rifugiato istituita dalle Nazioni Unite che si tiene oggi, giovedì 20 giugno.
Michael è conosciuto da tutti nella città ducale. Ogni mattina è davanti alle porte del Conad di via Raffaello, capita di vederlo spazzare, o aprire le porte a chi esce carico di borse della spesa. E anche se qui sarebbe pronto a fare di tutto per sistemarsi, il suo curriculum documenta un passato da agricoltore. “Vorrei guadagnare dei soldi, ma devono essere soldi puliti. In questi anni, più di una volta mi è capitato di trovare portafogli dimenticati davanti al supermercato. Li ho sempre portati alla polizia. Ma la gente si stupisce che un nero possa fare una cosa simile. Tanti non capiscono che bianco e nero sono una cosa sola”.
Come lui, anche Ayo Emmanuel viene dalla Nigeria. E anche lui, del viaggio che lo ha condotto in Italia nel giugno del 2015 preferisce non riferire alcun dettaglio. Riporta frammenti della sua storia sui gradini della chiesa di San Francesco con un inglese venato di Africa occidentale, la sua terra, quella che potrebbe non rivedere più e la stessa in cui ha lasciato la madre e i due fratelli. “Me ne sono andato per cercare una vita migliore, è semplice. Vorrei quello che vogliono tutti: una casa, una famiglia, un lavoro normale. Ma qui è difficile averne uno, perché non so parlare bene l’italiano”. Gli urbinati lo ritrovano tutte le mattine davanti alla Caffetteria di via Raffaello. È li che si apposta a chiedere gli spiccioli avanzati dall’espresso. Saluta tutti sempre, anche quelli che non rispondono mai. “Io non faccio male a nessuno e così so di non sbagliare. Della gente che odia gli stranieri non me ne curo, non la giudico. Quello è un compito che spetta soltanto a Dio”.
Come Ayo e Michael, negli Sprar (sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) e nei Cas (centro di accoglienza straordinaria) della provincia di Pesaro-Urbino ce ne sono circa altri 380. Un numero difficile da monitorare, che cambia ogni mese. La maggior parte delle strutture ospitanti è concentrata a Pesaro, mentre nei paraggi di Urbino si segnalano il centro di Lunano, dove alloggiano una decina di rifugiati e quello di Cagli, in cui ce ne sono una ventina.
“È complicato tracciare un ritratto generale, sia per quanto riguarda i rifugiati che per quanto riguarda le motivazioni che li hanno spinti a partire – spiega Andrea Zucchi, coordinatore dello Sprar di Pesaro – per esempio, non esiste ancora ufficialmente la categoria del migrante climatico, ma molti fuggono proprio in seguito a devastazioni che mettono a repentaglio la loro vita”.
Eterogenea è anche la loro provenienza. “I rifugiati possono venire anche da una trentina di paesi diversi, ma gli stati dai quali si conta il più alto numero di arrivi sono Nigeria, Pakistan, Bangladesh, Somalia, solo per citarne alcuni. Spesso le persone scappano da posti in cui i diritti civili sono minacciati, dove omosessualità e minoranze religiose sono messe al bando. Altre volte ci sono scenari di cui qui si parla pochissimo: nessuno sa che in Pakistan, quando muore il capofamiglia, l’autorità passa allo zio, che ha pieno diritto di impossessarsi dei beni del defunto e anche di uccidere la famiglia del fratello”.
Ed è proprio per colmare le lacune che minano la consapevolezza del fenomeno migratorio che, in occasione della giornata del rifugiato, diverse realtà del territorio provinciale hanno unito le forze, per dare vita a Pesaro a una tre giorni di approfondimenti (dal 20 al 23 giugno), tra cultura e documentari. Si festeggia anche alla fortezza di Urbino, con una merenda organizzata alle 17 di oggi dalla Caritas locale a cui si deve l’arrivo di nove rifugiati a Trasanni, grazie al progetto “Corridoi Umanitari”.