di FILIPPO CAMPO ANTICO
URBINO – Sono passate da poco le quattro di pomeriggio. È l’orario in cui i cinque ragazzi della Casa di Giango tornano alla loro abitazione dai rispettivi centri educativi. Sì, casa, anche loro hanno fatto il “grande passo” di andare a vivere da soli, senza i genitori, nonostante non siano del tutto autosufficienti per via della loro disabilità. Questa realtà è nata a maggio 2017: un luogo di condivisione, dove trovare la propria emancipazione. I fondi stanziati dalla legge “Dopo di noi”, emanata nel 2016 per garantire assistenza alle persone portatrici di handicap anche dopo la morte dei genitori, sono stati essenziali. La coordinatrice dell’Ambito territoriale sociale Elena Pazzaglia, con il supporto dei genitori, si è occupata di far partire il progetto. Il comune di Urbino ha offerto l’abitazione in zona Piantata e si è fatto carico delle utenze. Le aziende del territorio hanno contribuito con l’arredamento dell’appartamento.
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Una giornata come un’altra
I ragazzi vengono tutti dal “Centro educativo Francesca” di Urbino e dal centro riabilitativo “Il posto delle viole” di Fermignano. È una famiglia allargata: dieci persone, quattro abitano qui tre giorni a settimana per tutto l’anno, sei si alternano per brevi periodi. È l’ora della merenda. Sono tutti intorno al tavolo. Con loro, due dei sette educatori che si alternano: Miriam e Andrea. Sul televisore scorrono le immagini dei video musicali delle maggiori hit del momento. Ognuno parla dei suoi problemi. “Sono preoccupata, devo fare le visite mediche in settimana”, dice Carla. Lei è la “ragioniera” di casa: ha un quadernone ad anelli in cui rendiconta le entrate e le uscite della “famiglia”. Non si perde neanche un centesimo. È stata lei a battezzare la casa con il nome “Giango”, il nome del suo cane.
[aesop_gallery id=”279610″ revealfx=”off” overlay_revealfx=”off”]Poi c’è Benedetta che si affretta a mangiare i suoi biscotti e a bere la sua spremuta perché non vede l’ora di andare in camera ad ascoltare la musica a tutto volume, sua grande passione. Nicola, soddisfatto, porta a tavola un vassoio di pane con la marmellata. Lui è l’uomo di casa, è un tuttofare, ma il suo compito principale è quello di chiudere le serrande prima di andare a dormire. Per questo in casa viene definito “il serrandatore”. Gli piace scrivere e adora le storie di mostri. Il suo nome d’arte è “Amadors”, una versione inquietante del suo cognome: Amadori. A capotavola c’è Marika: è silenziosa ma ascolta tutto, senza perdersi neanche una parola della conversazione. Lei ama disegnare: sulle pareti sono appese le sue opere e le piace cantare al karaoke. Una passione che ha poi trasmesso al resto della casa. “Noi andiamo sempre fuori a prendere degli aperitivi”, commenta Elisa a cui piace molto relazionarsi con le persone e fare nuove conoscenze. Lei non è fissa in casa come gli altri: è una di quei sei ragazzi che si alterna, ma quando c’è si diverte e la sua presenza si fa notare.
“Siamo un gruppo affiatato. La sera a cena si spegne la tv e, come succede in ogni famiglia, ci si siede attorno al tavolo e si parla di noi, di quello che ci è successo durante la giornata, dei nostri pensieri, si ride e si scherza”, spiega l’educatrice Miriam. La filosofia della Casa è vivere in società: tra di loro ma anche con la cittadinanza. “Assieme – prosegue Miriam – si gestiscono le incombenze quotidiane: apparecchiare, caricare la lavastoviglie, mettere a posto la casa, fare le pulizie. Siamo un gruppo inserito nella realtà urbinate: frequentiamo i bar, i ristoranti e le strutture del territorio. Molte attività sono i ragazzi a proporcele”.
Un nuovo modo di interpretare l’assistenza
È una struttura innovativa: “prima della legge ‘Dopo di noi’ esistevano già realtà in cui persone affette da patologie lievi vivevano da sole e un educatore passava una o due volte al giorno per ogni evenienza, ma nella casa di Giango ci sono individui con problemi più seri. Il nostro è un progetto pilota. Speriamo che da questa realtà possano nascere iniziative simili”, spiega Elisabetta Cappelletto, mamma di Benedetta, in prima fila per sostenere l’autosufficienza dei ragazzi portatori di handicap. “Il problema dell’abitazione donata dal Comune, che ringraziamo, è che non possiede l’ascensore per questo non è possibile ospitare persone in carrozzina. Speriamo che un giorno si trovi una sistemazione adatta anche per questo tipo di esigenze”, conclude Cappelletto.
“Il progetto Casa di Giango è una scommessa per i genitori, consapevoli che un giorno non potranno più essere vicini ai loro figli, ma soprattutto è una grande possibilità per i ragazzi di costruire una vita indipendente”, spiega Miriam. La turnazione di alcuni ospiti della casa è stata pensata proprio per far provare al maggior numero di persone quest’esperienza di vita. La Casa è abitata, per il momento, solo da lunedì a mercoledì. L’obiettivo è quello di creare comunità indipendenti di persone, seppur portatrici di handicap. I promotori del progetto non pensano a una struttura ma alla condivisione di una serie di appartamenti e a incrementare la possibilità per questi ragazzi di vivere la comunità più giorni della settimana.