di FILIPPO CAMPO ANTICO
URBINO – “Adesso sono testimoni, non più spettatori”, commenta la professoressa Elisabetta Veneziano che questa mattina ha accompagnato i suoi studenti del liceo delle scienze umane Laurana-Baldi di Urbino al teatro Arcimboldi di Milano per ascoltare la testimonianza della senatrice a vita Liliana Segre, deportata in Germania durante il nazifascismo. Gli alunni della Scuola, che non sono potuti andare a Milano, hanno seguito l’evento dalla diretta in streaming sul sito del Corriere della sera. Le loro parole dimostrano che sono stati toccati dal suo messaggio: “Noi dobbiamo raccogliere la sua testimonianza e far conoscere la sua storia ai nostri coetanei per non rivivere mai più l’incubo della Shoah”, dice Sara Toccacieli, al termine dell’incontro. Sono consapevoli dei riflessi sulla società, anche quella di oggi. “Anche noi rischiamo di rivivere l’indifferenza di allora. Basti pensare all’assurdità del fatto che la senatrice debba avere una scorta. Ci sono persone che sono in grado di negare che tutto questo sia successo”, aggiunge. “Non bastano i documentari per capire quello che è successo, per questo è importante che persone che hanno vissuto sulla propria pelle la discriminazione razziale, come la senatrice, la raccontino alle nuove generazione”, aggiunge Davide Cancellieri.
Come una chiacchierata tra nonna e nipoti
“Mi rivolgo a voi come una nonna, perché solo quando sono diventata nonna mi sono resa conto di essere pronta a raccontare l’incubo della Shoah alle nuove generazioni. E soprattutto quando mi sono resa conto di non provare odio per i miei carnefici ma pietà”, comincia Segre. Prima di iniziare a raccontare la sua testimonianza ringrazia gli insegnanti, riconoscendo il valore del loro operato, “perché formano i cittadini del domani”. “Mi riconosco in questo ruolo. Credo che i ragazzi debbano capire che non è passato così tanto tempo da quando sono successe queste cose e per questo motivo ho deciso di portarli qui”. commenta la prof. di Diritto ed Economia che ha accompagnato gli studenti urbinati.
Il racconto della senatrice inizia da quando le è stato impedito di andare a scuola soltanto perché è ebrea. “Non volevo rassegnarmi all’idea che non potessi più andare a scuola. Non capivo cosa avessi fatto di male e continuavo a chiedere ai miei genitori delle spiegazioni”, racconta. In religioso silenzio, i ragazzi, gli insegnanti e il moderatore dell’incontro, il giornalista Ferruccio De Bortoli, la ascoltano che con le sue parole li porta a rivivere l’orrore della Shoah, a ripercorrere tappa dopo tappa l’incubo di una ragazzina ebrea durante il ventennio fascista. “Quando eravamo sul treno, partito dal binario 21 di Milano centrale, vedevamo dal finestrino prima i paesaggi italiani, poi quelli austriaci e infine quelli tedeschi. C’era silenzio: era il silenzio della morte. Morirono quasi tutti quelli che furono deportati con me”.
“Una lupa affamata ed egoista”
Scende nei dettagli “perché il mio compito è quello di far sapere cosa è successo”. Ricorda se stessa da bambina come una “lupa affamata ed egoista”, come quando “umiliavano, picchiavano e deridevano le nostre compagne e io non volevo sentire, mi mettevo le mani sulle orecchie”, ricorda Segre. La sua salvezza è stata quella di poter lavorare in un’azienda bellica, situata a pochi chilometri dal campo, dove conobbe una deportata francese, Janine, che perse due dita durante il lavoro. “Durante le ‘selezioni’ le guardie si accorsero che non aveva due dita e la mandarono al gas. Io fui lasciata vivere. Non mi voltai per dirle che le volevo bene, ero diventata egoista. Lei non divenne nonna o sposa, morì per la sola colpa di essere nata”. In chiusura al suo discorso, sprona gli studenti, che definisce come “suoi nipoti”, a non cercare la vendetta, “come quanto ebbi la possibilità di raccogliere la pistola caduta a un soldato delle SS e di sparargli e ucciderlo per vendicarmi di avermi portato via tutto ma non lo feci. Anche grazie a quella mia scelta sono diventata la donna di pace che sono oggi”. Gli studenti si alzano in pedi per applaudire la senatrice. Un cartello con scritto “grazie Liliana” si eleva dal pubblico a sottolineare la riconoscenza per il suo sforzo di riportare alla memoria l’inferno che ha vissuto.