di GIACOMO PULETTI, MARIA LETIZIA CAMPARSI e RACHELE SCODITTI
URBINO – Xilografie, calcografie, litografie. Il torchio per la stampa di metà ‘800, che “fa ancora il suo dovere”. E poi i barattoli pieni d’inchiostro, i pezzi di tarlatana, un materiale particolare, ormai consumati per accarezzare le lastre originali e i pennelli sporchi di colore per le stampe finali. Entrando nell’atelier di via Mazzini dove Carla Luminati porta avanti una tradizione ormai passata di moda si respira un’aria quasi rinascimentale. Sembra di tornare indietro di secoli, osservando le stampe d’arte realizzate da bambini, studenti universitari e artisti di tutte le età.
“A Urbino c’era una grande tradizione di stamperie d’arte – spiega Carla, 35 anni, mentre si annoda il grembiule nero per evitare di sporcarsi – oggi invece sono rimasta solo io ed è grazie alla passione e alla tenacia se sono riuscita a mantenere in vita la tradizione nonostante il periodo di crisi”. È infatti il 2011 quando questa ragazza appassionata di grafica, stampe e colori decide di aprire un proprio laboratorio a Ca’ Virginio, a Urbino, acquistando nel tempo gli attrezzi da lavoro degli artigiani che invece, nel corso degli anni, erano stati costretti a chiudere la propria attività. Ma il suo desiderio di fare dell’arte uno stile di vita nasce da molto lontano.
“Da bambina abitavo di fronte a Casa Raffaello e mio papà collaborava con una galleria d’arte di Urbino – racconta Carla, che si definisce un’ artigiana ma non un’imprenditrice – e così sono cresciuta a contatto con artisti, incisioni e stampe. Insomma, sono stata educata fin da piccola a questo mondo”. Dopo la Scuola del Libro, dove riceve gli insegnamenti di maestri dell’arte grafica come Adriano Calavalle, Antonio Battistini e Sanzio Vetri, s’iscrive al corso di “conservazione e restauro dei beni culturali” alla Carlo Bo. Nel frattempo mantiene ottimi rapporti con i vecchi insegnanti e prende contatto con Rodger Friedman, bibliofilo statunitense che tuttora le fa da referente nel proprio studio di New York.
Terminata l’università arriva la decisione di fare della propria passione un lavoro e con l’aiuto del padre avvia la propria attività. Camminando tra i progetti esposti nell’atelier di via Mazzini, aperto poche settimane fa per “far apprezzare quesa tradizione a più persone possibili, sia urbinati che turisti”, il discorso sulla crisi del settore si fa più amaro: “Negli anni si è perso il valore etico della stampa – ragiona l’artigiana con un pizzico di rabbia – Il mio obiettivo è quello di riportare in luce il messaggio che emerge da ogni piccolo tratto d’arte”.
Osservando i disegni degli artisti, raffiguranti scorci di Urbino e simboli religiosi, ma anche dediche e messaggi d’auguri, spiega che per produrre una stampa d’arte occorre procedere secondo uno schema ben preciso, a partire da un disegno che l’artista le consegna. Lei lo guida nella tecnica più idonea per far emergere l’idea proponendo piccole modifiche, fino a che lui non le dà il lasciapassare con la formula francese ‘bon a tirer‘ (buono da stampare).
[aesop_gallery id=”283208″ revealfx=”off” overlay_revealfx=”off”]A quel punto entra in gioco la pietra, il legno o il rame a seconda del materiale scelto dell’artista per la riproduzione del suo schizzo. Ed è qui che la matrice, posizionata sul torchio e pressata da una pesante lastra, si imprime sulla carta, lasciando il segno indelebile del disegno dell’artista. È un gesto che l’artigiana compie con estrema naturalezza, lasciando percepire la sensazione di contatto con l’opera d’arte che soltanto questo tipo di lavorazione permette. Al termine della tiratura, la matrice viene ‘biffata’, cioè rovinata, perché l’originale non sia riproducibile.
Il lavoro finale consiste in una tiratura su carta dello schizzo iniziale. E permette di farlo anche a bambini e studenti universitari, che arrivano da tutta Italia per completare un tirocinio o imparare i trucchi del mestiere. Il risultato è che ogni stampa è diversa, ogni tratto particolare, ogni riproduzione unica nel suo genere. “Durante un’esposizione ho notato una signora che toccava continuamente le stampe, quasi a voler entrare in contatto con loro – conclude Carla cercando di non far trapelare l’emozione – soltanto quando ha deciso di acquistarne una mi sono resa conto della sua cecità e del suo vedere il mondo attraverso le diverse incisioni di tante persone, dal bambino all’artista. Non è meraviglioso?”.