di SARA SPIMPOLO
URBINO – Per l’Università di Urbino oggi è stato un “Generdì”. Una giornata per riflettere sulla parità e l’identità di genere, durante un panel organizzato dal Cug – il Comitato unico di garanzia per le pari opportunità, nel quale diversi docenti della Carlo Bo hanno analizzato il tema dal punto di vista delle proprie discipline. Storia, economia, antropologia, biochimica: un approccio trasversale per un tema che è sempre più all’ordine del giorno, anche in Italia.
MARICA BRANCHESI – “Ancora conta più l’aspetto, o l’essere madri, che il talento”
“La questione riguarda il rapporto tra identità e diritti delle persone – ha detto al Ducato il professor Giovanni Boccia Artieri, prorettore alla didattica e responsabile della comunicazione Uniurb – in primis studentesse e studenti, cittadini e cittadine del domani, per le quali l’Università deve costruire una cassetta degli attrezzi su questi temi”.
Insegnare la sensibilità di genere
L’idea di Boccia Artieri è quella di creare insegnamenti multidisciplinari: “Il dibattito sul genere va portato dentro pratiche consolidate – ha continuato Boccia Artieri – non dobbiamo più trovarci a chiederci perché non ci sono donne in un dibattito o in una tavola rotonda. Bisogna rendere normale l’attitudine a pensare entro certi termini, e questo va fatto attraverso azioni concrete. Sarebbe importante, per esempio, che studentesse e studenti potessero inserire nei loro piani di studio dei corsi su queste tematiche, indipendentemente dalla facoltà che frequentano”.
Un punto sottolineato anche dalla professoressa Laura Chiarantini, delegata rettorale alle Pari opportunità e docente di Biochimica: “Sono temi che non vengono affrontati nei corsi di studio tecnico-scientifici, dalle cosiddette ‘hard sciences’, nonostante sia poi qui che si registrano le maggiori carenze di studentesse donne” ha spiegato al Ducato. “Molto spesso c’è ritrosia nel dare spazio a un corso sul genere, e si fa fatica a fare acquisire sensibilità a docenti e studenti”.
E anche se secondo il sociologo della comunicazione le nuove generazioni sono più consapevoli “a volte – ha ribattuto Chiarantini – la percezione è quella di una parità già raggiunta, che il problema non esista. Poi ci si rende conto del gap quando si entra nel mondo del lavoro, e per mancanza di welfare le donne devono abbandonare”.
Ridurre il gap in Ateneo
L’università di Urbino ha cercato di sopperire alla mancanza di servizi statali tramite il progetto “Giovanissimi Uniurb”, un asilo per figli e figlie di dipendenti dell’Università. “Ma anche per assegniste e dottorande, e volendo anche per studentesse madri, anche se non c’è mai stata una richiesta in questo senso” ha spiegato Chiarantini.
Da qualche anno inoltre la Carlo Bo stila un report nel quale viene monitorato il grado di parità di genere raggiunta dall’Ateneo. Quello del 2021 mostra un miglioramento del gender gap, che però è ancora lontano dall’essere colmato, soprattutto tra docenti ordinari e ricercatori a tempo determinato.
Per quanto riguarda invece il tema dell’identità di genere non binaria, “Urbino è stata una delle prime università ad introdurre il doppio libretto per coloro che affrontano un percorso di transizione di genere – ha ricordato ancora Chiarantini – e c’è un servizio di supporto psicologico al quale si possono segnalare disagi o problemi vissuti in università”.
In merito al caso del giorno, quello di Aurora Leone, la comica dei The Jackal cacciata dal tavolo dei giocatori della partita del cuore perché donna, la professoressa ha commentato che “è indice della mancata educazione su questi temi. È un po’ quello che è successo col sofagate che ha visto protagonisti Erdoğan, Charles Michel e Ursula von der Leyen. Dividere una torta non è mai facile: quando una donna ottiene un posto di rilievo lo toglie a un uomo; un uomo che solitamente non ne è contento”. Per migliorare le cose si può lavorare, partendo dall’Università.