di ENRICO MASCILLI MIGLIORINI
URBINO – “Desistete”, scriveva Federico, duca di Urbino e del Montefeltro, alla Repubblica di San Marino. C’erano grandi interessi in gioco nella guerra con i Malatesta, nelle trattative si era inserito il Regno di Napoli. Federico all’opera, diplomatico e autorevole, celava il messaggio con una cifratura ora decrittata, che fa luce su un piccolo pezzo di storia del Ducato e racconta di come l’antica cifratura servisse allo scopo, come accade ancora oggi. Magari per inviare messaggi su Whatsapp, anche se non ce ne rendiamo conto.
La scoperta del codice cifrato in una lettera di Federico da Montefeltro è il frutto di una catena di collaborazioni. È stato il professore dell’Università di Urbino Tommaso di Carpegna Falconieri, coordinatore del comitato per la celebrazione del seicentenario della nascita del duca urbinate che si festeggerà nel 2022, a chiamare Ivan Parisi, ricercatore all’Istitut Internacional d’Estudis Borgians (un istituto di ricerca incentrato sulla famiglia Borgia) tramite il professor Francesco Senatore, per una lettera trovata negli archivi della Repubblica di San Marino.
La diplomazia di Federico
Siamo a Urbino, è il 1459 e si sta combattendo l’ennesima perenne lotta tra Federico da Montefeltro e Sigismondo Malatesta. Stavolta la repubblica di San Marino deve scendere in guerra, ma la lettera certifica che Federico sta attivando trattative di pace. “Vi sto inviando qualcuno”, dice.
C’era un accordo di massima in cui i generali reggenti di San Marino volevano essere citati, ma Federico gli dice di desistere, perché stati più potenti come il Regno di Napoli stanno entrando nella trattativa. Sono i retroscena della pace di agosto, a Modena, spiega Parisi, “dove emerge la figura di Federico, grande statista che riesce a mediare tra i vari attori”.
Il codice svelato
Sapendo che il sistema di decrittazione spesso è simile ad altri, Parisi ha cercato prima di tutto di individuare il tipo, così da cercarne il punto debole. Appena ha visto il testo deve essersi preoccupato, perché di solito più è breve e più è difficile decifrarlo: di solito, spiega l’esperto, ci vogliono almeno 40 crittogrammi per poter riuscire a ipotizzare una soluzione.
Per prima cosa si individuano i simboli e se ne conta la frequenza. In questo caso c’era una falla: ricorre molto spesso un simbolo a croce e, facendo riferimento all’alfabeto italiano dove le vocali sono molte più, Parisi ha ipotizzato si trattasse della lettera E.
Secondo passo: vedere le finali e le iniziali pensando alle sillabe. “Probabile che vicino alla E ci sia una consonante”, continua Parisi. “Dopo questa prima separazione si guardano gli stimoli del testo. Nella lettera si parla al futuro, era quindi molto probabile ci fossero molte R, per via della desinenza. Diciamo che da qui il gioco è fatto”.
Il duca crittologo
Anche se Parisi ci è abituato, il momento della scoperta è sempre un’emozione. “La decrittazione della lettera ci permette di comprendere il vero pensiero politico e, dato che un aspetto essenziale del Rinascimento è la dissimulazione, così ricostruiamo il pensiero senza filtri: ci aiuta a saperne di più sulla mentalità dell’epoca”.
Si sta preparando il carteggio di Federico conservato nell’area di San Marino, Urbino, Gubbio e Firenze. Il professor Di Carpegna ha già trovato nel capoluogo toscano due lettere crittografate del duca del Montefeltro, dal momento che gli archivi di Federico vennero spostati lì dopo il declino di Urbino, intorno al 1600. Non è un caso, infatti, che il ritratto di Piero della Francesca sia agli Uffizi e non alla Galleria Nazionale delle Marche.
“Questa è l’unica lettera in cifra a San Marino”, dice Di Carpegna Falconieri. “Marcello Simonetta ne aveva trovate già due, che ha utilizzato nel suo libro Il codice Montefeltro sulla congiura dei Pazzi. Ma c’è un altro aspetto interessante, che certifica il suo interesse per la crittografia. Un trattatello sulla crittografia a lui attribuito che si trova nella sezione dell’archivio di Perugia a Gubbio. È stato segnalato proprio da Simonetta ed è tuttora inedito ma andrebbe studiato. Da oggi possiamo dire che non è solo il grande mecenate ma anche come un crittologo, aspetto che andrebbe approfondito” conclude il professore.
Dal Rinascimento a Google
La crittografia è un vanto italiano, c’è sempre stata ed esistono esempi importanti già ai tempi dei romani, ma quella che conosciamo oggi è un’arte che nasce nel tra il 1400 e il 1450 nelle corti del centro-nord in lotta tra loro. Queste si dotano di ambasciate residenziali, assicurando la propria corrispondenza con sistemi cifrati, nell’ottica di quella che è nota come arte della dissimulazione e con gli impulsi rinascimentali verso la matematica unita all’umanesimo.
Molti si cimentano con questa nuova scrittura, tra il gioco e il segreto. Un primo e importante passo che va fatto, dice Parisi al Ducato, è capire che la crittografia è una cosa molto più normale di quel che si tende a pensare. Innanzitutto non è vero che le cancellerie si dotavano del sistema più sicuro, ma solo del più pratico. Il fine non è nascondere un segreto per l’eternità, ma far giungere una notizia nel modo più sicuro affinché sortisca degli effetti. In guerra ciò che importa è la tempestività. Insomma, Scoperte come questa sono fondamentali per comprendere l’immaginario quotidiano del passato e, per far questo, gli studiosi tolgono quel velo di mistero da Codice da Vinci che ha solo creato un falso mito intorno alla crittografia.
Per le menti del Rinascimento, comunque, diventa un’altra prova da superare, un altro esercizio di stile. Così si sa per certo che Leon Battista Alberti creò un sistema polialfabetico, ma anche Niccolò Machiavelli inviava una o due lettere in cifra dove si prendeva gioco, ad esempio, delle parti intime di Cesare Borgia, così da stancare le spie e poi inviava la lettera giusta.
Secondo Parisi intorno al 1450 avviene una vera professionalizzazione della crittografia, dove delle persone nella cancelleria si concentravano solo su questo. “La crittografia va studiata come qualcosa che vive in tutti gli ambienti nel Rinascimento e dopo. Oggi la crittografia è ovunque, con i bancomat, i codici di Google o i Pin. Dobbiamo immaginarci qualcosa del genere, solo in miniatura”.
Non una ristretta élite di geni che scriveva messaggi ad altri geni, ma cifrari in possesso di ogni ambasceria, per chi scrive e per chi riceve la lettera. Questo non vuol dire che fosse tutto facile, occorreva studiare.
Come per i sistemi operativi, spesso si sceglie quello che hanno già altri, sicuri che funzioni. Può apparire come il crollo di un mito, ed in effetti questo è: l’azione dello scrivere in codice e quella di decrittare quel codice doveva essere semplice come andare su Play Store e scaricare Spotify per ascoltare una canzone.
Maurice Aymard: la storia raccontata dal basso
Secondo Maurice Aymard, classe 1936, direttore degli studi all’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales dal 1976, storico dell’economia e della società dell’età moderna “quando si parla dell’Italia del Rinascimento si citano Milano, Firenze e Roma e poi per l’età moderna Venezia, Genova e Napoli. La storia sembra partire dall’alto, mentre questa parte dell’Italia, tra la Romagna e le Marche, ha qualcosa di eccezionale, è un altro livello di storia che merita di essere analizzato come tale.
Aymard è membro del consiglio scientifico della scuola superiore di studi storici all’Università di San Marino, e sottolinea il significato di documenti che emergono dalla polvere della storia da archivi “di provincia”: “L’episodio di questa lettera ci dà modo di ragionare sull’importanza e di notare l’ampiezza degli archivi locali. Questi ribadiscono che la storia va fatta dal basso. Un documento è una traccia che permette una pluralità di lettura e di domande, e in questo contesto la crittografia è diventata matematica”.
“La complessità degli algoritmi e la possibilità di poter studiare il linguaggio cifrato del computer è una disciplina in sé, un luogo del non detto. La lettera conferma che esiste un posto tra Urbino e San Marino in cui il segreto è essenziale”.
“La cosa divertente”- conclude Aymard- “è che Federico detta la lettera, non la scrive lui. Usare il codice per stare al sicuro e affidare il messaggio a uno scrivano annulla in un certo senso l’efficacia del codice segreto. Uno spunto per qualcosa che potrebbe chiamarsi storia della mentalità.”.