Aggiornamento: Nicola Tito è stato assolto dall’accusa di detenzione, con fini di commercializzazione, di un’opera falsa, spacciata per autentica, con sentenza del 7 luglio 2022 del Tribunale di Urbino, “in quanto il fatto non costituisce reato”. Secondo la giudice, Francesca D’Orazio, le circostanze non consentono di affermare con certezza che l’imputato fosse consapevole della contraffazione e della non autenticità dell’opera.
di BEATRICE GRECO
URBINO – Un quadro d’arte povera, fatto con sale e tabacco, è il motivo per cui Nicola Tito, gallerista di Torino, è stato chiamato a rispondere davanti al tribunale di Urbino. L’accusa è di detenzione, con fini di commercializzazione, di un’opera falsa, spacciata per autentica, dell’artista Pier Paolo Calzolari. A svelare il falso è stata la Fondazione Calzolari, con sede a Fossombrone, cui il signor Tito s’era rivolto per ottenere il certificato di archiviazione (una certificazione di autenticità) del quadro.
Tito, già noto alle cronache per aver venduto opere contraffatte e per quella che la Repubblica di Torino aveva definito nel 2013 “galleria di “croste” Tito Arte (ora non più attiva), ha testimoniato davanti al giudice Francesca D’Orazio. “Ho comprato il quadro dal signor Andrea Contini, nella sua galleria di Bardonecchia, circa dieci anni fa – ha spiegato, rispondendo alle domande della pm Catia Letizi -: presentava la scritta ‘autentico’ e la firma dell’autore”. Sarà la moglie Antonella Troncossi (co-titolare di Tito Arte e già condannata con il marito per contraffazione), sentita come testimone al processo, a specificare l’anno esatto dell’acquisto: 2010.
Il quadro è stato poi tenuto nel garage della loro casa a Buttigliera Alta, in provincia di Torino, fino al marzo 2015 quando Tito ha richiesto alla Fondazione Calzolari il numero di archiviazione del quadro, pratica necessaria per potere mettere sul mercato qualsiasi opera d’arte. “Prima di mettere in vendita un quadro – ha detto -, dev’essere sempre verificato. Io non ho mai proposto nulla ai miei acquirenti senza avere prima il benestare delle fondazioni”.
Dopo aver presentato tutta la documentazione utile alla richiesta, il gallerista ha dovuto inviare alla fondazione il quadro. Qui la sorpresa: la visita dei carabinieri e la notizia che l’autore, che Tito sapeva essere vivo, non aveva riconosciuto l’opera. “Si tratterà di capire se il signor Tito ha agito con dolo o meno” ha detto al Ducato la pm Letizi.
L’udienza di discussione e la decisione del giudice sono rinviate al 26 maggio prossimo. Così sarà possibile capire se un ex truffatore sia stato a sua volta gabbato.