Di ALICE TOMBESI
L’assegnazione del Premio Nobel per la Pace 2021 al giornalista russo Dmitry Muratov e alla giornalista filippina Maria Ressa è il forte segnale che legittima un pensiero comune: la Russia e le Filippine sono due Paesi dove la libertà d’espressione non è diritto imprescindibile. Muratov e Ressa sono stati premiati per il coraggio dalla penna pungente.
Sentita dal Ducato, Anna Zafesova, giornalista della Stampa, a lungo corrispondente da Mosca, dice : “È un bene che il comitato dei Nobel torni a guardare ad Est, ma sembra non tenere conto di quello che sta succedendo ora in Russia e Bielorussia: dissidenti politici arrestati, giornalisti costretti a fuggire dai loro Paesi perché non possono svolgere il loro mestiere o perché in carcere, come Alexey Navalny. Colpisce poi la decisione di dare un premio alla persona e non alla categoria o alla testata”.
L’ultimo Nobel per la Pace vinto da un russo risaliva al 1990 quando a essere premiato fu il leader sovietico Michail Gorbacev, l’autore della perestrojka e dell’apertura all’Occidente, ma anche colui che innescò la fine dell’Unione sovietica. Assegnare oggi il premio non solo a un giornalista russo – Muratov – ma al direttore dell’ultimo giornale indipendente del Paese – Novaja Gazeta – è una sferzata al regime di Vladimir Putin.
Noto da sempre per le forti restrizioni alla libertà d’espressione, l’ultimo bavaglio del presidente russo arriva il giorno stesso dell’annuncio dei Nobel per la Pace. Lo rileva Andrea Gullotta, presidente di Memorial Italia – l’Ong che si occupa di violazioni di diritti nell’Est Europa -, intervistato dal Ducato: “ Nuovi giornalisti e altre testate sono stati dichiarati dal governo agenti stranieri”. Al contrario della Zafesova, Gullotta pensa che “il fatto che sia Muratov a ricevere il Nobel e non la testata va visto nell’ottica del premiare non tanto una persona ma la libertà di stampa in generale. La prima reazione di Muratov, poi, è stata quella di onorare le vittime del suo giornale”.
Dmitry Muratov: con Novaya Gazeta fa luce sulle ombre della Russia
Dirige il giornale d’inchiesta russo Novaja Gazeta. Anna Politkovskaja erauna sua collega. Nel 2006, il giorno del compleanno di Putin, venne uccisa con cinque colpi di pistola nell’ascensore di casa sua: così come tutti i giornalisti di Novaya Gazeta (ne sono morti altri cinque) aveva scavato con la sua penna negli angoli bui della Russia,, occupandosi principalmente della violazione dei diritti umani durante il secondo conflitto in Cecenia. “Vi dirò questo: il premio non è merito mio, è di Novaja Gazeta – ha detto Muratov alla Tass, l’agenzia di stampa russa -: è di quelli che sono morti difendendo il diritto delle persone alla libertà di parola. Siccome loro non sono con noi, probabilmente hanno deciso che sia io a riceverlo per tutti”.
Il portavoce del primo ministro russo, Boris Belyakov ha definito il premio assegnato a Muratov “un degno elogio della sua professionalità, delle sue qualità umane e della sua aderenza alle sue convinzioni”, riporta la Tass.
Al contrario della Russia, fuori dai radar della geo-politica occidentale e con una lunga storia di ostilità alla libertà d’espressione, le Filippine – pur geograficamente distanti e più vicine alle Cina – sono sempre rientrate nella sfera d’influenza occidentale. È anche vero, però, che il consenso al presidente filippino Rodrigo Duterte si è andato erodendosi sempre più dal 2016, anno in cui è stato eletto.
Le battaglie presentate come cavallo di battaglia per essere eletto – guerra alla corruzione, al crimine e al traffico di droga – si sono rivelate un cappio al collo per la libertà d’espressione. Per estirpare il narcotraffico nel Paese, infatti, Duterte ha provocato la morte di diverse migliaia di persone – fra le 5 e le 10.000 -, eliminate dagli squadroni della morte creati dal presidente.
Omicidi extragiudiziali che sono stati oggetto di un’indagine del consiglio dell’Onu per i diritti umani. Di queste ‘guerre alla droga’ ha scritto la testata online indipendente Rappler, di cui Maria Ressa è direttrice. La giornalista s’è schierata apertamente contro il presidente e, più volte arrestata, è stata costretta a pagare dieci volte la cauzione per tornare libera.
Arrestata 10 volte: il coraggio di Maria Ressa
Giornalista filippina naturalizzata statunitense, Maria Ressa, 58 anni, è giornalista da quando ne ha 35. Cofondatrice della testata online Rappler, spesso ha puntato il dito contro il presidente Duterte e per questo ha subìto continue vessazioni e arresti da parte del governo.
La carriera della Ressa è una montagna russa: momenti bui si alternano a grandi risalite, contraddistinte dal riconoscimento del suo lavoro a livello mondiale. Nel 2018, Time Magazine l’ha nominata persona dell’anno, nel 2019 è stata considerata una tra le 100 donne più influenti del mondo e, nello stesso anno, è stata arrestata per diffamazione online. Nel 2020 ha ricevuto sei premi tra cui il Journalist of the Year. E ora ottiene il Nobel per la Pace, a confermare ancora una volta l’importanza di agire con coraggio per tutelare quello che è un diritto naturale dell’uomo, la libertà d’espressione.