Fgcult21 2021, “La semplicità alla base della lingua del giornalismo”

L'incontro "Linguisti e giornalisti. Un incontro possibile" a Palazzo Ducale durante la nona edizione di Fgcult
di CECILIA ROSSI

URBINO – Che ‘linguaggio’ parla il giornalista? Sicuramente più di uno, dovendosi destreggiare tra diversi media, ognuno con la sua grammatica. E che lingua parla? Spesso è proprio con la lingua italiana che avviene lo scontro più difficile. Si è discusso di questo, nella cornice di Palazzo Ducale, al dibattito Linguisti e giornalisti. Un incontro possibile del Festival del giornalismo culturale.

Regole di sopravvivenza

Chiedersi come dovrebbe parlare e scrivere un giornalista non presuppone una risposta facile. Filippo Nanni, vicedirettore di Rainews, prova comunque a dare una serie di regole imprescendibili per sopravvivere alla professione. “Quando si finisce un articolo, il primo titolo è sempre da scartare, perché lo hanno sicuramente già pensato tutti gli altri”. Ma soprattutto: “Niente frasi fatte, come ‘versa in condizioni critiche’, ma versa come si versa l’acqua?” scherza.

E aggiunge: “Ogni storia che si dà è sempre un racconto, e va trattato come una fiaba, che ha un inizio, un intreccio e una fine. Non c’è spazio per modi di dire sensazionalistici, quando si va alla radice delle situazioni e delle vite delle persone. Se racconta bene ciò che vede, allora il cronista assume un ruolo più ‘nobile’ di quello dello scrittore”.

Il nuovo ruolo del giornalista culturale

Il rapporto tra scrittori e giornalisti è un tema particolarmente sensibile per Paolo di Paolo, che svolge entrambi i mestieri. “La critica letteraria sui giornali, come la facevano un tempo Calvino e Gadda, non esiste più ormai. Ora c’è il giornalista culturale, che sta a metà tra divulgazione e mediazione dei contenuti”. Poi riflette sullo spazio della cultura nella stampa: “Così si è persa la dinamica della terza pagina, dove confluiva tutto il dipartimento culturale e si prendeva una posizione antigiornalistica, perché gli scrittori scrivevano sui quotidiani ma mantenevano il linguaggio del romanzo.”. E conclude: “Oggi è il contrario, molti giornalisti si cimentano in un ‘lirismo d’attacco’, scimmiottando gli scrittori ‘puri’ e finendo per scrivere cose imbarazzanti”.

Equilibrio tra narrazione e giornalismo

Giorgio Zanchini, co-direttore del festival insieme alla professoressa Lella Mazzoli,  lo incalza con una provocazione: “Per ‘attacchi lirici’ sono da intendere anche frasi come “Scrivo da un paese che non esiste più” di Giampaolo Pansa sulla diga del Vajont che hanno fatto la storia del giornalismo?”. Di Paolo sorride e risponde: “Uno dei giornalisti che più ammiravo era Vittorio Zucconi, che aveva un movimento tonale della lingua: cambiava modi e stili quando serviva, senza farcirla di lirismi inutili. Bisogna saper equilibrare narrazione e giornalismo, ma non tutti sanno farlo”.

Curiosità prima di tutto

E’ d’accordo Simona Sala, direttrice di RaiRadio1 e dei giornali radio Rai, che in collegamento da remoto cita di nuovo Carlo Emilio Gadda: “Bisogna evitare di essere persone autoreferenziali ed essere curiosi e interessati agli ascoltatori, come dice Gadda nell’opuscolo Norme per la redazione di un testo radiofonico. Questo significa, oggi, rispondere anche ai dubbi e agli insulti dei no vax in diretta radio o tv”.

Sala è attenta al linguaggio nella sua redazione e racconta: “La parola femminicidio, per esempio, ha aiutato molto i giornalisti a fare una sintesi rapida di un concetto nuovo, comparso sul vocabolario solo intorno al 2008. Ma non ha aiutato il discorso comune perché tuttora il racconto è solo dal punto di vista maschile”.

“Semplicità e chiarezza non sono uguali”

Interviene anche il presidente della Crusca, Claudio Marazzini: “L’italiano è una delle lingue più conservative: basti pensare che l’espressione ‘Mi taccio’ nasce con Dante e viene usata anche oggi. Noi possiamo leggere i suoi versi e riconoscere la nostra lingua di oggi. Questo può essere affascinante perché abbiamo un contatto diretto col passato ma è anche segno di staticità”.

Sul ruolo della lingua nel giornalismo sa cosa conta: “Semplicità è una cosa, chiarezza è un’altra. Oggi c’è molta richiesta di divulgazione, che può sembrare come un percorso di crescita della cultura nella società, ma in realtà si incamerano  spesso conoscenze senza comprensione. Il giornalista deve saperle coniugare per accompagnare i suoi lettori e ascoltatori”.

Semplicità sembra essere la stella polare da seguire, ma Nanni avvisa: “La si raggiunge solo dopo tanto lavoro. Fare il giornalista richiede tanta fatica”. E Di Paolo conclude: “Semplicità nella scrittura sarà quello che riporterà tutti quei lettori che si trovano estraniati dagli articoli culturali pensati solo per editori e lettori tradizionalisti”.

About the Author

Cecilia Rossi
Nata e cresciuta nelle Marche, studio a Urbino, dove mi laureo in Comunicazione con una tesi sull'involuzione autoritaria in Ungheria. Ho vissuto per sei mesi a Bruxelles, dove non ho migliorato il mio francese, ma in compenso ho studiato un po' di economia. La maggior parte del tempo leggo libri, lavoro a maglia e mi perdo nei documentari.

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra e di terze parti maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi