di ROBERTA ROTELLI
URBINO – “Cosa sarebbero state le langhe senza Cesare Pavese? E l’Abruzzo e la Versilia senza Gabriele D’Annunzio?”. Umberto Piersanti, poeta, saggista e romanziere urbinate parla con amarezza della sua patria poetica, Urbino, che negli anni si è allontanata da lui, separati da una distanza culturale e forse anche politica. “Anche Pascoli si era innamorato di Urbino – aggiunge – e ne apprezzava i monti delle Cesane, la Valbona, Cavallino e Lavagine”. Poi però in una lettera scriverà “a Urbino sono considerato meno di nulla”. Un paragone, questo, che svela l’amarezza con cui il poeta – vincitore del Premio Saba nel 2020 con la raccolta di poesie, Campi d’ostinato Amore – parla delle difficoltà che incontra la sua poesia nella sua terra. Le stesse che la poesia vive in un mondo ossessionato dai follower, in cui tante persone scrivono ma a leggere sono ancora in pochi: “Persino la tv ha litigato con la poesia, ormai da tanti anni. Non ci sono programmi che spiegano e propongono versi. A parte rarissimi casi, come quello di Alda Merini, grande poetessa diventata anche un fenomeno mediatico, spesso gli artisti si scontrano con invidie e malignità pronte a distruggere i frutti di un lavoro fatto con amore, dedizione, esercizio ed intuizione.“
I luoghi persi
Piersanti ha deciso di riproporre la sua raccolta di poesie del 1994, I luoghi persi, pubblicata ora dall’editore Crocetti, alla quale ha aggiunto 12 inediti, ispirati alle Cesane, ai fiori, alla neve e alla vegetazione campestre. “Le Cesane sono un luogo perso che io narro in chiave mitica e memoriale: parlo dei ‘favagelli’, quei fiori gialli squillanti che crescono qui nel mese di febbraio, indomiti e fieri sotto la coltre innevata”. Nelle sue poesie la leggenda si intreccia con il reale, dove il pastore non guarda solo le pecore ma si erge fino all’arcobaleno. Creando delle suggestioni inedite che strizzano l’occhio alle favole e ai miti lontani, Piersanti ci guida in un viaggio all’interno della civiltà contadina, quella nella quale è cresciuto: “Il passato mi commuove e mi coinvolge sempre. Con la ristampa di questa raccolta di poesie vorrei dare una nuova vita a qualcosa che esisteva già, così anche i giovani potranno fare un tuffo nella memoria”.
L’ALBERO DELLA CULTURA – Piersanti premiato a Roma con Piero Angela.
Piersanti riflette poi sulla capacità attuale della poesia di essere compresa dalle nuove generazioni e aggiunge: “Non ho la pretesa di cercare facili consensi e nel mare di internet capisco che disorientarsi è semplice. Io non ho mai voluto sottolineare l’inautenticità del presente, contrapponendolo a un’epoca passata come faceva Pasolini, per esempio. Per me, la civiltà contadina coincide con un passato perduto per sempre.”
“Alle medie mi fingevo malato, per stare a casa a scrivere”
Mentre racconta al Ducato della sua infanzia, il maestro cambia tono di voce e sorride, ricorda il primo amore per la poesia, nato ai tempi della scuola: “Alle elementari volevo fare il presidente della Repubblica o lo scrittore. Alle medie mi fingevo malato per poter stare a casa a scrivere”. Schiarendosi la voce Piersanti ricorda con affetto il professor Alessandro Tenella, il primo ad aver fatto sbocciare in lui l’amore per Omero e Salgari. Nei ricordi riaffiora poi quel giornalista ardito che un giorno, di nascosto, pubblicò sul giornale La tribuna del Salento quegli scritti, che lui teneva gelosamente disordinati dentro un cassetto.
Il poeta e la guerra
Infine Piersanti accenna al tema della guerra e alla difficoltà concreta della poesia di raccontare il presente: “La poesia non è giornalismo, ha un linguaggio diverso. Deve avere, come diceva il poeta Mario Luzi, una certa distanza dall’attualità. Io l’ho raccontata per tutta la vita, perché ci sono quasi nato dentro e l’ho vista coi miei occhi sin dall’età di tre anni”. Piersanti racconta la Seconda guerra mondiale (il romanzo L’estate dell’altro millennio), più tardi descriverà la guerra partigiana, le storie d’amore tra soldati e donne urbinati, le violenze a Villa Gloria e i carrarmati che dalle Cesane si dirigevano verso la linea gotica.