di ENRICO MASCILLI MIGLIORINI
URBINO – C’è l’intervistatore sportivo che chiede: “Come andrà il secondo tempo?” al giocatore scelto per l’intervista di metà tempo, un ‘assist, per la solita risposta. O chi usa il solito frasario: “bufera politica”, “versare in un mare di sangue”, “splendida cornice” o “colpito da un’ingiunzione”. È un “bestiario” del giornalista pigro, che parla per luoghi comuni, quello che il vicedirettore del Gr1 Filippo Nanni descrive in Alle mie spalle – le notizie in Tv (Vallecchi editore, 122 pagine, 14 euro). A suggerire il titolo è proprio una delle frasi che si sentono più spesso: “Alle mie spalle potete vedere…” rivolta allo spettatore. Nanni lo ha presentato martedì 17 maggio nel cortile del Collegio Raffaello a Urbino. Inizia così l’Off del Festival del giornalismo cultirale, che tornerà a Urbino dal 7 al 9 ottobre 2022.
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Cinque stelle di banalità
Il metodo è quello degli alberghi o, se si preferisce, delle recensioni di libri e film: il massimo è cinque stelle, ma a essere misurata è la banalità. Quanto più un giornalista è sciatto e distratto, più stelle prende. “Fai le pulci ai giornalisti, di cui viene fuori una descrizione impietosa”, scherza Franco Elisei, presidente dell’Ordine dei giornalisti delle Marche, che fa la parte dell’avvocato del diavolo. E riconosce che questo è un vademecum per chi intende prendere sul serio il mondo dell’informazione. “È più di un manuale per il buon giornalista”, aggiunge Sabina Sacchi, vicedirettrice del Tg1. I tre si conoscono da anni, e ad ascoltarli c’è un gruppo di interessati ma soprattutto giovani “addetti ai lavori”, allievi dell’Ifg di Urbino, dove Nanni insegna. Proprio dal pubblico arriva una riflessione che lo porta a fare autocritica su un certo tipo di racconto che in appassionati, spesso aspiranti giornalisti, crea un vocabolario sbagliato che tendono a riproporre (e poi a tramandare). “Evito di dire che è una critica a 360 gradi però”, ci tiene a precisare.
Ma l’autore dà i voti anche ai suoi capi, citandoli per nome: in questo caso le stelle sono per originalità. “Giovanni Floris mi ha detto ‘sei sicuro? è una scelta rischiosa’” confida Nanni, che ha lavorato per anni al talk Ballarò, su Rai3. “Qualcuno come Andrea Vianello (direttore di RaiRadio1, ndr) si è lamentato perché non ne ha avute cinque – continua Nanni – ma sempre nello scherzo: non rilascio patenti di bravura”.
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I ferri del mestiere
“È qui che si vede il giornalista”, riprende però l’ex vicedirettore di RaiNews24. “Quando viene in mente una frase fatta o un titolo facile il buon giornalista pensa che vada fatto un passo in più”, spiega. “Abbiamo la fortuna di lavorare tuto il giorno con le parole, dobbiamo studiare un argomento per quanto complesso in fretta e capirlo bene, perché poi dobbiamo spiegarlo. E per spiegare qualcosa devi averla compresa… a volte capita che qualcuno lo faccia anche se non ha capito nulla, e si sente”.
Gli esempi sono tanti. “Si pensi alla brutalità della guerra in Ucraina trasformata nel dibattitino della politica italiana o il dramma di un omicidio che diventa il palcoscenico per orribili tuttologi che vediamo opinionisti in vari programmi”, dice. Ma ci sono anche dei fiori rosa tra le macerie, accade quando il giornalista scompare dalla scena. “Ricordo di un servizio in cui camminando in strada, un inviato in Ucraina incrocia una donna che custodisce un filone di pane come se fosse suo figlio, come a dire: ‘questa è la cosa più preziosa che ho'”, racconta Sacchi. “Il giornalista non ha detto una parola, e tutto quel silenzio mi ha fatto capire molto più della realtà della guerra di tanti servizi con nomi, bombe e date. Guardando gli occhi di quella donna e il suo filone di pane ho pensato a Primo Levi: è stato molto più d’impatto questo che i saggi e grandi libri”.
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Alle mie spalle spiega proprio in cosa consiste l’importanza della lingua nella comunicazione. “Non è quello che molti pensano, il giornalista è un mestiere faticoso, richiede uno studio continuo”. E si aggancia ancora Sacchi: “Ricordo quello che diceva Nanni: studia sempre, al bar, in taxi, anche in bagno”. “Sì, perché sai che devi andare in onda e bisogna studiare fino all’ultimo dettaglio”, riprende lui. “È il sotteso del libro – chiude lo scambio Sacchi – che dice al giornalista: ‘Fai attenzione, perché usando un linguaggio trito e stantio fai male a te, alla notizia e al mestiere”. E allora niente scorciatoie e uno sforzo in più, tenendo a mente la massima di Ernest Hemingway, citato da Elisei: “Un’emozione non va descritta, va suscitata”.
I nuovi mostri
Perché il messaggio del libro, che elenca come negli episodi dei film I mostri e I nuovi mostri l’orrore di enormi difetti diventati ormai uso comune, è che “per quante lauree tu abbia devi essere umile, perché tanto quello che sei viene fuori dal pezzo, in ogni caso”.
Sabina Sacchi racconta che aveva alle spalle dieci anni di precariato quando era considerata ancora una giovane alle prime armi, e a Radio3 un capostruttura l’aveva presa di mira. “A quei tempi si usava lo speaker per alcuni servizi perché la pronuncia doveva essere perfetta. Io avevo un piccolo programma in cui facevo recitare ai grandi poeti ancora in vita una loro poesia: voleva doppiare Tonino Guerra perché parlava romagnolo. Ora Quelle registrazioni sono entrate nell’archivio Rai”. Una delle poche testimonianze registrate della voce di poeti che hanno fatto la storia del Novecento italiano.
Il discorso sul linguaggio è serio, in un libro che strappa più di un sorriso. “Bisogna inserire gente nuova, giovani genuini che raccontano le storie per come le vedono”, chiude Nanni. Ma la parola finale spetta al presidente dell’Ordine: “Leggendo il libro si impara che l’informazione può ancora avere un’anima”.