Fine vita. Mario, Antonio e Fabio: una storia marchigiana

Fabio Ridolfi e Federico Carboni
di EMILIA LEBAN

URBINO – Mario, Antonio e Fabio. Tre storie sul fine vita che hanno fatto discutere l’Italia. Ma che partono tutte dallo stesso territorio: le Marche. Le case di Mario e Fabio distano appena una quarantina di chilometri l’una dall’altra. Il primo è di Senigallia, il secondo di Fermignano. Di Antonio, nome di fantasia, non si conosce la residenza. Anche lui, però, è marchigiano.

Coincidenza. Oppure “può essere che il caso di Mario abbia dato sicurezza agli altri, abbia fatto da apripista per chi vive nello stesso territorio”, ha detto al Ducato Fabio Miceli, dell’Ufficio stampa dell’associazione Luca Coscioni. Dopotutto, il fine vita è un tema molto complicato. Chi compie questa scelta rischia di essere stigmatizzato, nonostante la pratica del suicidio assistito sia ormai consentita dalla legge.

Federico Carboni (Mario)

La solidarietà a Mario ha incoraggiato Fabio e Antonio

“Probabilmente Antonio e Fabio hanno deciso di esporsi proprio perché avevano l’esempio di qualcuno che prima di loro ha affrontato le stesse battaglie legali, che ha ricevuto le stesse risposte burocratiche dalla stessa azienda sanitaria regionale”, ha spiegato Roberta Bartoletti, professoressa di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Urbino. Può anche darsi che la solidarietà raccolta da Mario nella sua comunità di riferimento abbia incoraggiato Fabio e Antonio a farsi avanti. Loro che vivevano immersi nello stesso ambiente, che incontravano le stesse persone e che alla fine, hanno ricevuto la stessa solidarietà.

Il ruolo dell’informazione locale

“Noi abbiamo trattato l’argomento fin dal paziente zero, ovvero Mario – ha detto Nicoletta Grifoni, caporedattrice del Tgr Marche -. Lo abbiamo seguito in tutte le sue battaglie legali, che sono state molte, ed è anche grazie al racconto giornalistico locale che il tema del fine vita si è diffuso a livello territoriale. Invece l’informazione nazionale è carente perché è un tema politico ancora irrisolto”.

Non il passaparola tra gli abitanti, non le “chiacchiere da bar”. È stata l’informazione televisiva locale a fare da veicolo. Anche perché, aggiunge Grifoni, “spesso le famiglie vogliono mantenere la riservatezza”. All’infuori dei canali ufficiali se ne parla sussurrando. A bassa voce. Perché era, ed è ancora, un tabù.

Fabio Ridolfi e la sua famiglia

Le storie di Mario, Antonio e Fabio

Federico Carboni, ovvero “Mario” è stato il primo. Il primo nelle Marche a chiedere di poter accedere al suicidio assistito e il primo in tutta Italia a riuscire a ottenerlo. La sua identità è stata svelata solo qualche giorno fa, poco prima di morire. “Una lotta vinta a suon di battaglie legali”, dice Miceli, ma che ha fatto da detonatore a tutti gli altri casi. Dopo di lui è venuto Antonio. Tetraplegico da otto anni, è ancora in attesa del via libera dell’Azienda sanitaria regionale Asur Marche.

Poi c’è Fabio, e questa è tutta un’altra storia. Fabio Ridolfi, che non ha mai voluto adottare un nome di fantasia, che ci ha messo la faccia fin da subito, che ha addirittura parlato con la stampa per esprimere il suo disappunto verso l’Asur e lo Stato. Ma che alla fine si è stancato. Le lungaggini burocratiche lo hanno convinto a procedere con l’unica soluzione possibile: la sospensione dell’alimentazione artificiale e la sedazione profonda.

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra e di terze parti maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi