di GUGLIELMO MARIA VESPIGNANI
URBINO – Si è conclusa poco dopo le 17.30 di oggi al Tribunale di Urbino la lunga udienza del procedimento per il ferimento della soldatessa Vanessa Malerbi al poligono di Carpegna il 12 giugno del 2018, durante un’esercitazione con colpi di mortaio del 187mo reggimento della Folgore di Livorno.
Durante la seduta odierna, cominciata alle 10 e presieduta dal giudice Francesca d’Orazio, è stato ascoltato l’allora comandante del 187mo reggimento Giuseppe Scuderi, presente a Carpegna al momento del fatto. Presente in aula anche un altro imputato, il colonnello Luca Simonelli, che quel giorno era incaricato di dirigere l’esercitazione. Obiettivo: stabilire se la responsabilità di quel colpo andato fuori bersaglio di 400 metri fosse di chi lo ha materialmente esploso, oppure della catena di comando, che era tutta presente sul posto, fino al vertice massimo del reggimento, il generale Scuderi.
Vanessa Malerbi ha assistito all’udienza. È parte civile assieme alla madre Antonella Lodovico e alla sorella Sofia Malerbi, queste ultime oggi non presenti in tribunale.
L’esame di Scuderi
All’inizio della deposizione del generale Scuderi, durata quasi quattro ore, le domande del pubblico ministero Andrea Boni si sono concentrate sul capire chi ha deciso il coinvolgimento del fuciliere Alessio Prisco nelle operazioni di utilizzo del mortaio Expal 81 durante l’esercitazione. Durante la scorsa udienza infatti era emerso come Prisco avesse frequentato un corso di familiarizzazione dell’utilizzo del mortaio alla scuola di fanteria di Cesano.
Nonostante l’insistenza del Pm, la cui voce si è ripetutamente accesa in questa fase del dibattimento, Scuderi ha ripetuto di non sapere con certezza, neanche a seguito delle indagini interne svolte dopo l’incidente, chi avesse dato l’incarico a Prisco di esplodere i colpi: “Ritengo possa essere stato il comandante di plotone – in questo caso il sottufficiale Alessandro Vecchi, altro imputato nel processo ndr – ma non posso rispondere con certezza” ha affermato l’imputato in aula.
Un errore di 400 metri
Scuderi ha comunque confermato due aspetti fondamentali della ricostruzione processuale: i calcoli sul posizionamento dell’arma base e sul Nord magnetico furono fatti con l’utilizzo del solo GPS, e non con i calcoli manuali, come da buona prassi militare. Inoltre l’allora comandante del reggimento ha riconosciuto come i colpi esplosi quel giorno furono due, a distanza di pochi secondi l’uno dall’altro: un primo colpo, definito “colpo di piastra”, una sorta di sparo di assestamento per la piastra di base dell’arma, e un successivo colpo di aggiustamento, partito però prima dell’arrivo a destinazione del colpo di piastra.
Il secondo colpo, finito circa 400 metri a destra dell’obiettivo di tiro, fu quello che ferì Malerbi. Un errore definito inaccettabile, sia da Simonelli a giugno che da Scuderi oggi. Non solo. Il secondo sparo sarebbe dovuto essere ordinato dal Nucleo Saov, incaricato di osservare l’esercitazione, dopo aver valutato l’esito del primo. Ma secondo il racconto di Simoncelli (sentito a giugno) e dello stesso Scuderi, l’esplosione del secondo colpo prima dell’arrivo a destinazione del colpo di piastra fu un’iniziativa di Vecchi.
Rispondendo alle domande degli avvocati di parte civile e della difesa, Scuderi ha dato inoltre conto della propria posizione al momento dello sparo che ha procurato le lesioni alla caporal maggiore e del posizionamento dell’ambulanza, mezzo a cui Malerbi era assegnata in seno all’esercitazione. Scuderi ha affermato di essersi allontanato di circa 50 metri dalla linea di tiro, in quanto il suo compito non era operativo, e che l’ambulanza – come aveva detto anche Simonelli a giugno – era stata posizionata in un luogo poco convenzionale, ovvero a lato della linea di tiro, per ragioni di viabilità.
Prima del termine dell’esame, il pubblico ministero è tornato a chiedere conto di chi fosse stata la decisione di svolgere l’esercitazione “per colpo singolo”, ovvero attendendo l’arrivo a bersaglio di ogni sparo dell’arma prima di esplodere nuovamente. Secondo Scuderi, il compito di controllare i dati di tiro era di Michele Colizzi, altro imputato nel processo, ma che non c’era obbligo di indicare al comandante le modalità di svolgimento. L’esame dell’imputato è terminato alle 14.
I testimoni
Nelle tre ore di udienza del pomeriggio sono stati ascoltati sei testimoni intervenuti a difesa di Scuderi. La strategia difensiva dell’avvocato Cipullo si è concentrata proprio sul dimostrare come non ci fosse una prassi consolidata del reggimento che prevedesse l’esplosione del primo colpo di aggiustamento prima dell’arrivo del colpo di piastra, come avvenuto durante l’esercitazione a Carpegna. I sei testimoni erano tutti incaricati in passato di svolgere ruoli di comando per plotoni, squadre, battaglioni o per l’intero 187mo reggimento: si tratta di Michele Fraterrigo, Stefano Eros Menesello, Cristiano Maria De Chigi, Francesco Valacchi, Beniamino Vergori e Vincenzo Catalano. Hanno tutti negato o detto di non sapere dell’esistenza di una consuetudine del genere in vigore, né prima né dopo la data dell’esercitazione.
Al momento della deposizione di Valacchi, uno degli avvocati di parte civile ha richiesto l’acquisizione di un documento precedentemente escluso dal processo, uno scambio di mail tra il testimone e Malerbi, su cui la giudice Valentina d’Orazio si è riservata di decidere in occasione della prossima udienza, prevista per il 20 ottobre. Per quella data è previsto l’ascolto dei consulenti tecnici degli avvocati difensori, ed è ancora in sospeso la questione formulata a giugno dalla parte civile della richiesta di confronto tra Malerbi e il Capitano Italia, incaricato di dirigere le operazioni mediche durante le esercitazioni e quindi diretto responsabile del reparto in cui prestava servizio la vittima.