Fgcult23, le crisi dell’informazione: economica o culturale

Vittorio Emanuele Parsi, Piero Dorfles e Agnese Pini al Festival del giornalismo culturale 2023
Maria Selene Clemente

URBINO – Nel 1947, la Harvard University conferì al generale George Marshall, ai più noto per l’omonimo piano economico, la Laurea Honoris Causa. In quell’occasione, Marshall, tenne un discorso di undici minuti in cui spiegò la complessità del momento storico e il perché fosse importante per gli Stati Uniti guardare all’Europa; undici minuti per spiegare le criticità di un dopoguerra.

Il politologo Vittorio Emanuele Parsi, ospite del Festival del giornalismo culturale 2023, cita le parole di Marshall e sottolinea quanto l’importanza del discorso fu la capacità del generale di fornire, in pochi minuti, “modelli interpretativi adatti a comprendere una realtà complessa e articolata su infrastrutture concettuali in divenire”; Marshall spiegava cosa stesse accadendo e cambiando nel mondo.

All’evento “L’informazione e il pensiero critico. La democrazia informata” si è parlato delle difficoltà che incontra il giornalismo italiano oggi, anche quello culturale, nel raccontare una realtà complessa, e nel far propri nuovi strumenti di indagine e riflessione.

Il depotenziamento del servizio pubblico

Tra gli ospiti dell’evento, la giornalista Annalisa Bruchi, per la quale sembra ormai manifesto il generale svuotamento di contenuti nel sistema dell’informazione. Anche il servizio pubblico avrebbe abdicato alla sua funzione originaria, quella di informare ed educare, per essere asservito a “logiche di intrattenimento”, e quindi, “alle dinamiche da audience”.

Per Bruchi resta la questione della capacità economica di investire su format di qualità, su “persone giuste al momento giusto”; come accadde, ricorda, con il maestro Alberto Manzi, insegnante e conduttore della trasmissione Non è mai troppo tardi, che negli anni ‘60 “invogliò” milioni di italiani adulti analfabeti ad imparare a leggere e scrivere.

La “crisi economica” dell’informazione

Agnese Pini, direttrice del quotidiano La Nazione, riconduce la crisi del sistema tradizionale dell’informazione – che include sia carta stampata che tv, radio e l’online delle testate giornalistiche – a un fattore soprattutto economico.

Nell’intervista rilasciata al Ducato, Pini chiarisce che “l’informazione è anche un’industria e in quanto tale è mossa dalle sue logiche: deve autoalimentarsi e sostenersi. Produrre utili. La crisi dell’informazione è una crisi economica prima ancora che culturale e la trasformazione digitale è complicata perché richiede capitale”. 

La situazione di difficoltà, aggiunge Pini, non è solo della carta stampata, ma riguarda l’intero sistema fatto anche di pubblicità, giornalisti sempre più precari e imprenditori-editori con poco capitale da investire. “I giornali erano più in crisi dieci anni fa, quando si domandavano la data in cui sarebbe uscito il loro ultimo numero”, dice. “Oggi abbiamo già superato il momento più difficile, perché la strada è chiara: gli editori sanno che si esce dalla crisi portando sul digitale la qualità che c’è sulla carta stampata. L’hanno capito già da tempo il New York Times o il Washington Post, quest’ultimo, tra l’altro, edito da Jeff Bezos, una delle persone più ricche al mondo”. 

Una questione etica e culturale 

Diversa invece la posizione di Parsi che, nella sua Lectio Magistralis, si discosta dal ragionamento economico e muove invece la riflessione su un piano culturale ed etico. Il problema, oltre che non economico, non sarebbe neppure “la dittatura dello share”, dice Parsi in critica all’analisi della giornalista Bruchi.

Parsi sottolinea: “Le persone non comprano spiegazioni semplici, comprano spiegazioni complesse se sono spiegate loro in maniera chiara. E questo non pesa sulle spalle delle persone che leggono ma su quelle delle persone che parlano. Ogni volta che la complessità non è spiegata, il rischio è quello di aprire a derive complottiste o, più in generale, a teorie infondate”.

Citando Così parlò Zarathustra, del filosofo Friedrich Nietzsche, Parsi ricorda che, il protagonista dell’opera “muore solo perché non cercava seguaci ma uomini e donne liberi”. Il giornalismo, per restare fedele alla sue funzioni, dovrebbe poter procedere similmente: “Non cercare discepoli ma interlocutori con cui ragionare insieme”.

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