Maria Selene Clemente
URBINO – Nel 1947, la Harvard University conferì al generale George Marshall, ai più noto per l’omonimo piano economico, la Laurea Honoris Causa. In quell’occasione, Marshall, tenne un discorso di undici minuti in cui spiegò la complessità del momento storico e il perché fosse importante per gli Stati Uniti guardare all’Europa; undici minuti per spiegare le criticità di un dopoguerra.
Il politologo Vittorio Emanuele Parsi, ospite del Festival del giornalismo culturale 2023, cita le parole di Marshall e sottolinea quanto l’importanza del discorso fu la capacità del generale di fornire, in pochi minuti, “modelli interpretativi adatti a comprendere una realtà complessa e articolata su infrastrutture concettuali in divenire”; Marshall spiegava cosa stesse accadendo e cambiando nel mondo.
.@VEParsi1 ricorda come Marshall, nel suo discorso, della durata di 11 minuti, in occasione del conferimento di una laurea ad Harvard parlò dell’importanza dell’istruzione. #fgcult23 pic.twitter.com/B8QrXNAEvR
— Festival del giornalismo culturale 📚 (@fgcult) October 7, 2023
All’evento “L’informazione e il pensiero critico. La democrazia informata” si è parlato delle difficoltà che incontra il giornalismo italiano oggi, anche quello culturale, nel raccontare una realtà complessa, e nel far propri nuovi strumenti di indagine e riflessione.
Il depotenziamento del servizio pubblico
Tra gli ospiti dell’evento, la giornalista Annalisa Bruchi, per la quale sembra ormai manifesto il generale svuotamento di contenuti nel sistema dell’informazione. Anche il servizio pubblico avrebbe abdicato alla sua funzione originaria, quella di informare ed educare, per essere asservito a “logiche di intrattenimento”, e quindi, “alle dinamiche da audience”.
.@AnnalisaBruchi “Oggi nel dare le notizie conta più la velocità che l’approfondimento, l’arrivare per primi.
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La tv, poi, è mutata molto: c’è un eccesso di offerta che va a depauperamento delle risorse, quindi il livello è cambiato.
Fare approfondimento costa di più” #fgcult23 pic.twitter.com/N2RpD3H9nk
Per Bruchi resta la questione della capacità economica di investire su format di qualità, su “persone giuste al momento giusto”; come accadde, ricorda, con il maestro Alberto Manzi, insegnante e conduttore della trasmissione Non è mai troppo tardi, che negli anni ‘60 “invogliò” milioni di italiani adulti analfabeti ad imparare a leggere e scrivere.
La “crisi economica” dell’informazione
Agnese Pini, direttrice del quotidiano La Nazione, riconduce la crisi del sistema tradizionale dell’informazione – che include sia carta stampata che tv, radio e l’online delle testate giornalistiche – a un fattore soprattutto economico.
Nell’intervista rilasciata al Ducato, Pini chiarisce che “l’informazione è anche un’industria e in quanto tale è mossa dalle sue logiche: deve autoalimentarsi e sostenersi. Produrre utili. La crisi dell’informazione è una crisi economica prima ancora che culturale e la trasformazione digitale è complicata perché richiede capitale”.
.@agnese_pini “Il prodotto della crisi è che i giornali si sono impoveriti. I giornalisti guadagnano meno in un contesto in cui si lavora peggio. Nonostante tutto questo i giornali sono ancora baluardo di accesso ad un’informazione qualificata” #fgcult23 pic.twitter.com/QxuxhqZBWP
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La situazione di difficoltà, aggiunge Pini, non è solo della carta stampata, ma riguarda l’intero sistema fatto anche di pubblicità, giornalisti sempre più precari e imprenditori-editori con poco capitale da investire. “I giornali erano più in crisi dieci anni fa, quando si domandavano la data in cui sarebbe uscito il loro ultimo numero”, dice. “Oggi abbiamo già superato il momento più difficile, perché la strada è chiara: gli editori sanno che si esce dalla crisi portando sul digitale la qualità che c’è sulla carta stampata. L’hanno capito già da tempo il New York Times o il Washington Post, quest’ultimo, tra l’altro, edito da Jeff Bezos, una delle persone più ricche al mondo”.
Una questione etica e culturale
Diversa invece la posizione di Parsi che, nella sua Lectio Magistralis, si discosta dal ragionamento economico e muove invece la riflessione su un piano culturale ed etico. Il problema, oltre che non economico, non sarebbe neppure “la dittatura dello share”, dice Parsi in critica all’analisi della giornalista Bruchi.
“Il cane da guardia per chi sta parlando al microfono e per chi fa il giornalista è quello che si deve capire che si sta parlando a uomini e donne alla pari, non a discepoli”. Lo ha detto @VEParsi1 riprendendo Zarathustra di Nietzsche.@fgcult #fgcult23 #giornalista #competenze pic.twitter.com/49ual4tTxc
— Il Ducato Urbino (@IlDucato) October 7, 2023
Parsi sottolinea: “Le persone non comprano spiegazioni semplici, comprano spiegazioni complesse se sono spiegate loro in maniera chiara. E questo non pesa sulle spalle delle persone che leggono ma su quelle delle persone che parlano. Ogni volta che la complessità non è spiegata, il rischio è quello di aprire a derive complottiste o, più in generale, a teorie infondate”.
Citando Così parlò Zarathustra, del filosofo Friedrich Nietzsche, Parsi ricorda che, il protagonista dell’opera “muore solo perché non cercava seguaci ma uomini e donne liberi”. Il giornalismo, per restare fedele alla sue funzioni, dovrebbe poter procedere similmente: “Non cercare discepoli ma interlocutori con cui ragionare insieme”.