di CARLA IALENTI
URBANIA – Nel Montefeltro cresce una pianta con una caratteristica particolare: è il guado (Isatis tinctoria). La Ideal Blue manifatture spa, un’azienda di Urbania con 50 anni di esperienza ne ha piantato una certa quantità: “Stiamo coltivando il guado nelle terre del Montefeltro, da cui ricaveremo colorante naturale”. Dal guado si ottiene l’indaco, il colorante utilizzato soprattutto nel settore tessile. L’azienda cinque anni fa ha iniziato il percorso verso la sostenibilità ambientale con l’introduzione del laser, un macchinario utilizzato in sostituzione delle sostanze chimiche per il lavaggio del denim. Non solo, perché permette anche di realizzare stampe e loghi.
Resistere all’aumento dei prezzi
“Nel 2023 la Ideal Blue è cresciuta del 30%, fatturando 42 milioni” dice, orgogliosa, l’amministratrice delegata Silvia Moretti, figlia di Piero Moretti e di sua moglie Teresa Stocchi che quasi mezzo secolo fa fondarono l’azienda a conduzione familiare. “I nostri clienti sono i brand del lusso, soprattutto italiani e francesi”. Moretti spiega che “il settore del lusso non ha risentito della crisi pandemica né dell’aumento dei costi di produzione” dopo lo scoppio della guerra in Ucraina. “È normale che le lavanderie” utilizzate per il lavaggio del denim, cioè per colorare il tessuto, “già energivore, abbiano speso di più, ma i brand sono disposti a pagare se garantiamo una filiera controllata e sostenibile, e una qualità alta”. La trasparenza e il made in Italy, dunque, battono l’aumento dei prezzi. L’azienda, infatti, utilizza “cotone organico e rigenerato e acquista i denim solo in Italia e Spagna”.
Crescita del 30% nel 2023
“Ci sono stati anche dei rimborsi statali, ma è la scelta della sostenibilità che ci ha permesso non solo di stare in piedi, ma di crescere in questi ultimi tre anni”. Dunque, la strada del rispetto per l’ambiente, della tutela dei lavoratori, della filiera tracciata e certificata sono il percorso che ha portato l’azienda in alto. Bene non solo per Ideal Blue, ma anche per le altre aziende della “Valle dei jeans” del Montefeltro, le cui esportazioni nel primo semestre del 2023 sono aumentate del 24,1% secondo un rapporto di Intesa Sanpaolo.
L’alto costo sociale e ambientale del fast fashion
“I metodi più economici di lavaggio del denim”, dunque, quelli più comuni, “richiedono molta acqua, sono molto impattanti” ha spiegato Moretti. “Il tessuto, di solito, viene trattato con sostanze chimiche dannose per l’ambiente e per la pelle, come il permanganato” ma fortunatamente anche grazie alle restrizioni “mrsl” (elenco delle sostanze soggette a restrizioni di produzione ndr) la situazione sta migliorando”. L’amministratrice delegata, a proposito del fast fashion, moda che cambia rapidamente e produce milioni di capi a costo basso, ma ad un prezzo altissimo per i lavoratori e l’ambiente, confida “nella consapevolezza del consumatore finale” e si augura che il consumatore si chieda “com’è possibile che un capo costi così poco?”. Il prezzo e il brand, però, non sono garanzia di sostenibilità e qualità: “Se una t-shirt costa cento euro, il consumatore finale pensa di aver comprato un capo di qualità, prodotto senza sfruttamento”, invece “se non c’è la trasparenza che solo le certificazioni garantiscono il consumatore non sa quello che compra”.
L’idea: un passaporto per ogni capo
E a proposito di trasparenza: “La certificazione della nostra catena di approvvigionamento è completamente trasparente per il cliente”. “Servirebbe su ogni capo un passaporto che dica da dove provengono le materie prime, dove sono stati fatti come il lavaggio e la tintura”. Il fatto che la sostenibilità costi di più e abbia una domanda inferiore non impedisce però all’imprenditrice di sperare in una risposta dalle istituzioni: “Se la legge dicesse: ‘tu azienda questa cosa non la puoi fare’ la rivoluzione sostenibile non sarebbe una strada percorsa da pochi”.