Fgcult 2024 – Le donne nel giornalismo italiano: protagoniste senza potere

Di CHIARA RICCIOLINI

URBINO – Le donne nelle redazioni italiane sono il 42%. Solo tre sono direttrici di un giornale. Le giornaliste in Italia ci sono ma non ricoprono posizioni di potere. Questo il dato che emerge dalla ricerca contenuta nel libro di Francesca Capoccia Protagoniste? Donne, informazione e cultura presentata al Festival del giornalismo culturale 2024 nella biblioteca del Duca a Urbino.

Al dibattito hanno partecipato esponenti del mondo giornalistico e culturale come l’editrice del libro Federica Savini e i giornalisti Lucilla Niccolini, Roberto Fiaccarini e Giampiero Gramaglia, oltre al presidente del Festival Piero Dorfles e alla co-direttrice Lella Mazzoli, che ha moderato l’evento. Insieme all’autrice, hanno discusso dell’evoluzione della presenza femminile nelle redazioni italiane.

Capoccia ha aperto la discussione con un’analisi sui dati della presenza femminile nel settore dell’informazione. “Mi sono interrogata su quella percentuale. Letta solo a livello numerico sembra che ci sia sostanziale parità, ma la situazione è diversa”, ha spiegato.

Il tema è infatti la disparità di potere, riassunta nell’espressione contenuta nel libro e mediata da studi sociologici: “visibilità senza potere”. Pur essendo presenti nelle redazioni, le donne non sono ai vertici, non comandano. L’espressione, secondo Gramaglia, è in contrasto con lo spirito di servizio della professione. “Bella frase, – dice -, ma non adatta a questo mestiere. Chi fa giornalismo lo fa per la visibilità della notizia, non del giornalista. Il giornalista non ha nessun potere, il giornalista dà il potere alla gente che informa. Il vero potere è quello che si racconta, quello che si dice”.

Gramaglia, giornalista di lungo corso, ha raccontato d’avere iniziato con una direttrice donna, allora l’unica di un quotidiano in Italia, Giuliana Boerchio Pirovano, a La Provincia Pavese. “Con l’eccezione dell’Ansa, tutte le maggiori agenzie di stampa italiane hanno o hanno avuto direttrici donne – osserva Gramaglia -. Non c’è dubbio che le donne siano protagoniste dell’informazione oggi. Abbiamo qui l’esempio della scuola di giornalismo di Urbino, dove più dell’80% dei praticanti sono donne. Questo è un fatto generazionale, le donne saranno sempre di più”.

Francesca Capoccia

Le inviate di guerra

Capoccia nel libro tocca il ruolo delle inviate di guerra. Nei recenti conflitti, molte delle cronache sono firmate da donne: “È una crescita che non riguarda solo l’Italia, ma anche altri Paesi. In particolare, in Ucraina, con l’aumento del numero di donne incaricate di coprire il conflitto, è cambiato anche il modo di raccontare la guerra: prima l’attenzione era rivolta principalmente alle armi e alle strategie militari, mentre ora si parla anche delle vittime civili, un aspetto che in passato veniva spesso trascurato”.

Giornaliste negli Anni 70, cosa è cambiato

Lucilla Niccolini, giornalista del Corriere Adriarico ha ricordato come negli Anni 70 il movimento femminista abbia innescato un cambiamento significativo nel settore: “All’epoca noi donne abbiamo cominciato con il giornalismo culturale, ma poi abbiamo abbattuto stereotipi e iniziato a coprire altre aree. Questo libro di Francesca testimonia che quella deflagrazione è stata la molla per allargare la professione anche alle donne. Gli stereotipi di genere almeno in questo li abbiamo abbattuti”.

Secondo Roberto Fiaccarini, giornalista del Resto del Carlino, l’esperienza di Agnese Pini, attuale direttrice del gruppo QN, è un evento raro nel mondo dei media italiani: “Solo con una forzatura il nostro editore è riuscito a portare una donna alla direzione del giornale. Nel 2019, Agnese era vice capo-servizio della cronaca di Firenze e oggi dirige tutto il gruppo.”.

L’editrice Savini ha notato che la presenza femminile ai vertici dell^editoria è maggiore nelle realtà minori e indipendenti che nei grandi gruppi, specialmente nelle Marche. Il presidente del Festival Dorfles ha difeso la scelta, posta in discussione nel dibattito, di mettere, nel titolo del libro, un punto interrogativo al concetto di “protagoniste”, perché – ha sostenuto – il numero conta, ma anche i ruoli decisionali sono importanti.

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