Fgcult 2024 – Monica Maggioni: guerra, “Lo sguardo femminile è più sensibile ed empatico”

di CARLA IALENTI

URBINO – È uno schermo molto più grande di quello attraverso cui siamo abituati a vederla che porta nella Sala del Trono a Palazzo Ducale Monica Maggioni, giornalista televisiva, prima e finora unica direttrice del Tg1, già presidente della Rai. L’inviata di guerra, ospite al Festival del giornalismo culturale 2024, racconta il suo sguardo femminile su conflitti e desolazioni. Attraverso i suoi occhi milioni di telespettatori hanno conosciuto la guerra in Iraq e quella in Afghanistan, le elezioni presidenziali negli Stati Uniti e le discariche a cielo aperto del deserto di Atacama tra Cile e Perù.

Farsi beffe del maschilismo con una “bugia bianca”

Intervistata da Giorgio Zanchini, giornalista della Rai e co-direttore del Festival, Maggioni coglie l’occasione per offrire spunti di riflessione sulle sfide che un’inviata deve affrontare in un mondo ancora troppo al maschile. “Essere dentro la storia – racconta – è stato un privilegio che ha messo in secondo piano l’imbarazzo di essere troppo spesso l’unica donna in mezzo a tanti uomini”.

Il maschilismo, però, non ha mai fermato il lavoro da inviata di Maggioni. “Due settimane fa, ho intervistato un orrendo neonazista negli Stati Uniti, il fondatore dei ‘Proud boys’ un gruppo di estrema destra che sostiene Trump – racconta -. Diceva cose del tipo: ‘I giornalisti dovrebbero essere solo uomini’. Volevo capire chi avevo di fronte. Per cui non mi scomposi e lo lasciai parlare. E quel mio atteggiamento lo faceva arrabbiare ancora di più. Poi mi disse: ‘Certamente tu non hai figli’. E io gli risposi che ne avevo quattro – non è vero, ndr -. Il suprematista bianco si meritava una bugia bianca e io la dissi”. E così “mi evitai una filippica”, conclude.

La seconda storia ci porta in Libano, dove Maggioni intervistò un esponente di Hezbollah indossando un velo che definisce “terrificante”. “Fu una lunga conversazione durante la quale quell’uomo non mi guardò mai in faccia, in quanto donna. Per un attimo ebbi la tentazione di andarmene. Poi mi dissi: ‘Ma chi se ne frega!'” E continuò a fare il suo lavoro senza farsi scoraggiare.

L’inviata di guerra: lo sguardo femminile e l’empatia

Essere testimone di eventi cruciali che hanno segnato il nostro tempo fa la differenza nel racconto e oggi sono sempre più le inviate di guerra. “Rispetto ai colleghi uomini, le giornaliste riescono di più a empatizzare e immedesimarsi con la vittima e a capire le ragioni dell’altro”, ma “la differenza nel racconto di guerra la fa la sensibilità, non tanto il genere”. Più che lo sguardo femminile è lo sguardo sensibile quello che rende un inviato di guerra migliore di un altro.

L’intelligenza artificiale: un falso nemico

Se fino a qualche anno solo gli immigrati venivano accusati di rubare il lavoro, ora la paura più grande in Italia sembra essere rivolta all’intelligenza artificiale, più veloce e per certi versi più efficiente di quella umana. Ma “se c’è un lavoro che non potrà mai fare è quello dell’inviato”, dice Giorgio Zanchini. “Una cosa che l’IA non potrà mai fare è raccontare i particolari – aggiunge Maggioni -, soprattutto quelli che sfuggono alla riproducibilità. E cosa c’è di meno riproducibile di una madre che va a fare la spesa per i suoi figli cercando di sfuggire alle bombe?”.

Il divario di genere: un problema ancora irrisolto

E se da una parte le inviate di guerra sono sempre di più, non si può dire lo stesso dei ruoli di vertici. Ma per Maggioni le donne che “lavorano sempre con tanta tenacia” presto diventeranno direttrici delle testate giornalistiche, rompendo il tetto di cristallo. “È solo questione di tempo” conclude.

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