Fgcult 2024 – La poesia che resta: il potere dei versi imparati a memoria

Di CHIARA RICCIOLINI

Imparare poesie a memoria permette di avere sempre in testa le parole per capire la realtà. Quella realtà che castiga le vite degli uomini con dolori, nostalgie, amarezze. E a volte, invece, le colma di gioie, di ironie. Stati emotivi che i poeti, di cui ricordiamo le rime, sapevano scomporre e spiegare.

Di questo si è parlato nella serata di lettura della 12a edizione del Festival del Giornalismo culturale, nella Sala del Trono di Palazzo Ducale a Urbino, insieme allo scrittore Paolo di Paolo, alla giornalista e storica delle donne Valentina Palumbo e al critico letterario Piero Dorfles, moderati dalla direttrice dell’evento Lella Mazzoli.

Tra il pubblico, alcuni spettatori, soprattutto i più anziani, accompagnavano con un’eco le voci dei protagonisti mentre recitavano i versi. Ricordi di un’infanzia in cui, costretti in rigidi banchi di scuola, la maestra imponeva loro di mandare a memoria le poesie di Carducci e Pascoli.

La memoria come riscoperta

La discussione si è ispirata al nuovo libro di Paolo di Paolo, Rimembri ancora? Perché amare da grandi le poesie studiate a scuola, in uscita martedì per Il Mulino. Piero Dorfles ha aperto la serata: “Quando io andavo alle elementari, le poesie si imparavano a memoria. Questo patrimonio rimaneva lì e mi è rimasto. Sono incancellabili – ha osservato -. Rileggendole nella mente, si possono trovare strumenti di analisi, di riflessione”.

Di Paolo ha preso ad esempio A Silvia di Leopardi “È una di quelle poesie che rischia di sembrare più convenzionale di quello che in realtà è”, ha commentato. Ma convenzionali i versi leopardiani non lo sono: “A Silvia si rivolge a qualcuno che non c’è più: se Leopardi non l’avesse scritta, Montale non avrebbe mai composto La casa dei doganieri – ha affermato -: Tu non ricordi la casa dei doganieri sul rialzo a strapiombo sulla scogliera parrla a una persone che è morta!”

Un ping pong poetico ha caratterizzato la serata. Mentre Di Paolo si è cimentato nei brani delle poesie più diffuse nelle antologie italiane, Palumbo ha risposto con i versi di alcune poetesse rimaste fuori, per gran parte del Novecento, dalle antologie scolastiche italiane. “Isabella di Morra, – ha osservato Palumbo -, poetessa del 1500, come tante altre è stata portata alla ribalta per un fatto di sangue, il suo femminicidio. Lo stesso è capitato ad Artemisia Gentileschi, conosciuta prima per lo stupro subito e poi solo dopo per il suo talento artistico”.

L’AI e la poesia

A fare da sfondo all’incontro il tema dell’intelligenza artificiale applicata alla poesia: “L’idea – ha spiegato Di Paolo – è provare a ragionare intorno alla poesia come intelligenza di natura ancora del tutto umana, anche se l’IA sa fare anche poesie, romanzi”.

Da qui lo spunto per un gioco interattivo con il pubblico. Sono state proposte due parafrasi de Il bove di Carducci, una scritta da Dorfles e l’altra dall’intelligenza artificiale: il 63% degli spettatori ha riconosciuto, esprimendo un voto tramite un Qr code inquadrato col telefono, l’umanità del primo testo.

Di Paolo e Palumbo hanno poi affidato a all’intelligenza artificiale la scrittura di una poesia sull’autunno, utilizzando parole scelte per una sua poesia da Antonia Pozzi. Il risultato, banale e non paragonabile alla potenza espressiva della Pozzi, ha ricordato ai presenti che, ameno per la poesia, c’è ancora molto che solo l’essere umano può esprimere.

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