Di MARTINA TOMAT
URBINO – L’imperfezione, mostrata alla luce del sole, fa risplendere i suoi film e anche lei. Susanna Nicchiarelli, ospite al panel dedicato al cinema nella dodicesima edizione del Festival del Giornalismo culturale, è un intreccio di forza disarmante e umana fragilità, proprio come i lavori che mette in scena. Nel corso del dialogo con Pedro Armocida (direttore del Nuovo Cinema di Pesaro) nella sala del Trono di Palazzo Ducale sfoggia professionalità, spirito ribelle e si concede qualche lacrima.
Il coraggio di disturbare
“Bisogna avere il coraggio di disturbare” è la sua parola d’ordine. Disturbare con un punto di vista inedito, raccontando quello che gli uomini non dicono: “Bisogna dire quelle cose che mai sono state dette. Non dobbiamo addomesticare il nostro pensiero e uniformarlo. Io non mi sono mai sentita una fotomodella e volevo mettere in scena anche l’imperfezione”. Come in Cosmonauta, il film che nel 2009 ha consolidato il suo talento: “Avevo visto Tre metri sopra il cielo: scandito da fisici perfetti, il castello di San Severo, Riccardo Scamarcio, una prima volta da favola. Ho pensato: se lo guardo a 15 anni mi sparo. Allora ho cercato proprio l’imperfezione. Anche il concetto di donne tanto più giovani degli uomini non è la normalità”.
Dal sogno al corto
Uno sguardo diverso, tratto distintivo di Nicchiarelli fin dai suoi primi cortometraggi. Aveva 24 anni e a Los Angeles si stava affacciando al mondo del cinema con un corso di regia, svolto dopo un dottorato in filosofia: “Non sapevo cosa raccontare ma facevo sogni ricorrenti sul mio fidanzato di allora. Per esempio mi raggiungeva a una festa in cui era pieno di bei ragazzi e aveva le sembianze di un nanerottolo con un abito a fiori e cocomeri e io mi vergognavo”. Allora prende il sogno al balzo: “Ho fatto il corto su questo (Il mio piccolo uomo ndr). E mi è venuta l’idea di parlare di quello che gli uomini non racconterebbero mai di loro stessi, delle loro fragilità. Lo presero a una rassegna a Modena e ricordo la sala piena di gente che rideva. Ho capito che c’era qualcosa che dicevo che nessuno aveva detto. Era la mia strada. Il mio ragazzo si è offeso: anche se i sogni glieli raccontavo, col corto ero riuscita ad andare oltre e a esprimermi più che a parole. Poi a Pisa mi sono messa con un pittore: in camera stava disegnando e pensavo che ritraesse me, invece disegnava se stesso seduto in un letto. Questa è stata la prima scena del mio secondo cortometraggio portato poi a Nanni Moretti in videocassetta”. Tre mesi dopo era al cospetto del maestro.
Il mito del genio uomo
Susanna Nicchiarelli fa della sua diversità di genere, del suo essere donna con uno sguardo e un punto di vista necessariamente femminile, la sua forza. Anche se ogni tanto è difficile scalzare dei miti incalliti: “Siamo cresciute con l’idea che il genio fosse uomo. Io mi pensavo meno brava, meno geniale perché mi facevo angosciare dalle cose pratiche, spesso dedico grossa parte del mio cervello a come organizzarmi con i bambini. Li ho portati con me anche durante le riprese in Val di Susa (per Fuochi D’Artificio, la sua ultima serie ndr), la mattina passeggiavo in montagna con loro poi alle 16 o alle 18 cominciavo a girare. Gli uomini delle generazioni precedenti pensavano meno ai rapporti coi figli. Una volta mi hanno descritta come una delle voci più importanti del cinema femminile italiano. Io mi sono dispiaciuta: avrebbero potuto dire del cinema e basta. È una frase svalutante”. Ma snaturarsi per sembrare diverse è un errore in cui non bisogna incappare: “Voler essere come gli uomini spesso porta a svalutare il femminile e a non comprendere tante donne, io per esempio non ho compreso a pieno mia madre” Si commuove. “Non è il problema l’essere donne ma come lo si è”. E le donne che descrive Nicchiarelli sono anche e soprattutto anticonformiste. Come Chiara, la protagonista del suo ultimo film: “Non voleva fare la clausura, ha litigato perché voleva fare come san Francesco, camminare scalza come i frati, i papi si sono inferociti. Nei miei lavori cerco spesso di indagare i lati oscuri e di mettere in scena personaggi da perdonare o riscattare”.
La paura del giudizio e Nico
“Un film non capito abbastanza” interviene Armocida. “Ecco agli uomini invidio il coraggio di fregarsene del giudizio altrui – ribatte Susanna che ammette di essersi dispiaciuta per i premi non vinti da Chiara. “A proposito, proprio questo menefreghismo è una caratteristica che ho riscontrato nella figura di Nico ed è uno dei motivi che mi ha spinta a dedicarle l’omonimo film (film del 2016 sugli ultimi due anni dell’ex modella e cantautrice tedesca, tornata sui palcoscenici nonostante la lontananza dalla perfezione del passato ndr). Avevo visto un’intervista in cui lei diceva che non le interessava raggiungere un pubblico più ampio, che preferiva essere selettiva, non voleva piacere a tutti. Proprio questa mancata paura del giudizio porta Nico ad avere il coraggio di sperimentare di più, anche a costo di avere una voce che appare stonata. L’ho ammirata, è una cosa praticamente impossibile da raggiungere. Il coraggio di accettare che la critica possa anche non capire quello che hai fatto invece di passare una settimana chiusa in casa a piangere”.