Di ANDREA BOCCHINI
URBINO – Tante. Anzi tantissime. Ma ancora poche al vertice. Risuona oramai come uno slogan dopo il ventesimo – e ultimo – panel dell’edizione 2023 del Festival del giornalismo culturale di Urbino. L’orologio segna le 16:30 e il pubblico, alla Sala del Trono di Palazzo Ducale, prende posto.
C’è ancora spazio per questo tavolo, il cui tema è legato al mondo editoriale. Il titolo? “Editori , editrici. Pubblicare oggi”. A moderare l’incontro Agnese Pini, direttrice del Quotidiano Nazionale. E una delle pochissime donne a dirigere una testata in Italia. Ma ci sono anche la giornalista e autrice Marianna Aprile, l’amministratrice delegata della casa editrice Electa Rosanna Cappelli, lo storico e saggista Giordano Bruno Guerri e lo scrittore e giornalista Piero Sorrentino.
Il tema del Festival, lo sguardo femminile sul giornalismo culturale, che è stato sviscerato in ogni sua parte. Dalla cultura sostenibile, fino alla lettura. Passando per la storia, la carta stampata, la televisione e i social. E ancora cinema, serie tv, arte, architettura e scienza. Argomenti affrontati in dibattiti con una partecipazione rosa maggioritaria. Non sono mancati però gli uomini, che hanno portato un loro sguardo (oltre che il loro pensiero) sui temi trattati. Ora, in chiusura, tocca a editrici e editori.
Una tendenza da invertire
“Immagino che ve lo siate chiesto anche voi – inizia la direttrice Pini -. Perché nel nostro settore, che dovrebbe essere progressista, non abbiamo donne ai vertici?” Una domanda che apre a un primo giro di impressioni. Bruno Guerri ha la risposta pronta: “Siccome le donne leggono notoriamente di più, sono meno portate a pubblicare e di conseguenza fanno meno gli editori. Questo può essere sicuramente un motivo – continua -. Purtroppo sono spesso in posizioni di inferiorità, ma è un problema di tutti i mestieri”.
Storce un po’ il naso Rosanna Cappelli. Lei è l’unica donna amministratrice delegata di una casa editrice del Gruppo Mondadori. Sui ruoli di vertice a quota rosa, non ha dubbi: “Spero e credo che questa tendenza si stia invertendo e progressivamente si riduca”. Mentre sul mondo delle editrici aggiunge: “Le donne che fanno questo lavoro riescono a entrare meno faticosamente in certi meccanismi di carriera che altrove sono attribuiti agli uomini”.
Una linea di pensiero vicina a quella delle colleghe della carta stampata e che Aprile abbraccia: “Nelle redazioni ci sono tantissime donne ma, dal ruolo di caporedattore in su, si vedono solo capi al maschile”. Una situazione, però, che viene vista anche come “un ostacolo interno”: “Le donne non si propongono, si candidano meno per ruoli di vertice e la risposta sta nelle ragioni personali e strutturali”. Cioè? “Ci sono direttori che ti chiedono se hai intenzione di fare un figlio – continua -. Se ricevi una domanda di questo tipo per sei volte, interiorizzi che partorire possa rappresentare un problema nel fare carriera. Questo fa incancrenire una situazione che è difficile da modificare”.
Effettivamente, nelle case editrici, “ci sono moltissime donne ma occorre scendere ai gradini più bassi – aggiunge Sorrentino -. Penso agli uffici stampa, alle traduttrici e alle redattrici. Qui la maggioranza è donna. Per non parlare dei loro salari, che sono tra i peggiori”.
La maternità è (purtroppo) un problema
Ma esempi di grandi editrici ce ne sono. A fare la lista è Bruno Guerri, dopo aver tirato fuori un fogliettino dalla giacca: “Rosellina Archinto, Laura Lepetit, Teresa Cresimi (ora presidente di Adelphi), Elisabetta Sgarbi e Marina Berlusconi”. Molte delle quali hanno avuto dei figli: “L’Archinto ne ha cinque, la Lepetit due. Le altre zero e forse sì, le donne sono danneggiate dalla maternità quando intraprendono un’attività importante”, riconosce Bruno Guerri.
E il problema maternità (purtroppo) esiste. “Non è colpa di nessuno ma la situazione, oggettivamente, un uomo non se la pone – sottolinea Aprile -. La nostra storia ci insegna che i sistemi nelle organizzazioni in cui ci muoviamo sono dettati da logiche maschili. È una realtà innegabile in cui gli esempi citati non neutralizzano il problema”. Ma per quanto riguarda i giornali, “vedo che le direttrici donne sono a capo solo di giornali femminili e questo influisce anche sul tono della comunicazione che si vuole dare”.
Temi o scrittura femminile?
E per quanto riguarda la scrittura? Esiste un modo di scrivere femminile? “Non credo. Sono i temi che cambiano: le scrittrici si occupano più d’amore (e già così è una volgarità), di storie di famiglia e sentimenti – spiega Bruno Guerri -. Ma sono discorsi imbarazzanti e generici da fare. Quello che posso dire è che, nell’ambito della storiografia vedo un numero di storiche molto basso mentre nei ruoli di editor la presenza femminile è alta e importante”.
Stessa linea di pensiero è quella di Marianna Aprile: “Non penso che possa esserci una reale differenza tra uomo e donna nel rapportarsi alla lingua o allo stile. Quello che vedo è una maggiore consapevolezza nel riconoscere temi più vicini al mondo femminile: diritti, migrazioni, minoranze. Su questo vedo una oggettiva suddivisione tra autori e autrici”. Un aspetto che si lega anche all’arte: “Le artiste che hanno un background culturale differente produrranno un’arte diversa – spiega Cappelli -. Si diversificano i dettagli che possono essere più o meno ampi, ma la differenza la fa la conoscenza e il bagaglio culturale che si possiede”.
“Scrittrici donne? Mi piacciono e leggo molti libri di autrici – conclude Sorrentino -. Ma il problema sta nel sistema editoriale che decide cosa dev’essere letto oppure no. Da qualche tempo, ci si aspetta che le donne parlino della tipica saga familiare o della protagonista che deve emanciparsi. Storie interessanti, ma mi piacerebbe che la stessa editoria produca una maggiore varietà di contenuti femminile che, ad oggi, mancano nelle librerie”.