Ansia e depressione, combatterle si può: “Lo psichiatra soprattutto ascolta. Bisogna farsi aiutare senza vergogna”

Di MARTINA TOMAT

URBINO – Una vita nuova. Ci sono ragazzi che si erano chiusi in se stessi, nella propria camera, lontani dal mondo: ora ridono e scherzano con i compagni di corso all’università. C’era chi, a causa degli attacchi di panico, a intermittenza, non era più padrone di sé e ora è autonomo più che mai. Chi sopraffatto dalla paura, tremenda, del cibo, oggi ha ritrovato la gioia di sedersi a tavola. Qualcun altro, prima apatico e inerme, ora invece sorride, libero, e ringrazia il giorno in cui si è fatto avanti e ha bussato alla porta del suo psichiatra. Probabilmente fargli visita non è stata una scelta immediata: prima è stato in balia di quella paura, di quel senso avvolgente di vergogna. Ha dovuto staccare quell’etichetta di “diversità” appiccicata in fronte che infastidisce e fa chiudere gli occhi.

 I pregiudizi da stroncare

I pregiudizi nei confronti dei disturbi psichici sono ancora tanti e ne ostacolano le cure. Così un problema piccolo e arginabile, si ingigantisce e travolge: “Portando addirittura al suicidio – spiega lo psichiatra Sergio Biagiotti -. Spesso i sintomi sono sottovalutati. Questo perché c’è ancora il ricordo, pesante, del manicomio, perché i disturbi legati alla mente sono associati ai criminali e ai serial killer quando in realtà è decisamente maggiore la frequenza di reati commessi dalla popolazione che non soffre di questi problemi e anche se il criminale ha effettivamente queste problematiche non è detto che in quel momento non possa agire con lucidità”. 

Biagiotti parla al Ducato con calma, cercando di spiegare con cura ogni argomento. Ci tiene che più persone possibile prendano confidenza col tema. Anche per questo, oggi, in occasione della giornata mondiale per la salute mentale, insieme al dottor Matteo Facchini, sensibilizzerà la cittadinanza durante l’incontro promosso dall’osservatorio nazionale sulla salute delle donne (Onda) presso l’ospedale di Urbino dalle 16:30 alle 18:30. Una conferenza aperta al pubblico dove si parlerà di prevenzione cercando di scardinare i falsi miti: “Tanti pazienti rimangono sorpresi appena si approcciano a noi psichiatri. Arrivano con un’idea sbagliata, pensando che diamo solo pastiglie dannose. Invece ciò che facciamo è soprattutto ascoltare, il più possibile, per sbloccare il problema vero e indirizzare il paziente allo psicologo o ad altri specialisti. Già il parlare liberamente di problematiche che considerano un tabù è un primo passo, fa sentire sollevati i pazienti. E, in ogni caso, i farmaci che eventualmente diamo sono tollerati dal corpo e assunti solo per un periodo circoscritto. Somministriamo la medicina adatta al disturbo da trattare: quel che è dannoso, invece, è curarsi da soli, a caso”.

Le donne sono più vulnerabili

L’incontro avrà un focus specifico sulle donne perché “il genere femminile è quello più colpito da disturbi di ansia e dell’umore. Quasi il doppio rispetto agli uomini”. A incidere fattori genetici che rendono “più vulnerabili allo stress” e ormonali: “Aumenta la suscettibilità nei giorni prima del ciclo mestruale e non sono da sottovalutare le problematiche post gravidanza. Per di più nell’ambito dei disturbi alimentari la differenza di incidenza tra donne e uomini è abissale”. A incidere anche fattori ambientali, sociali e lavorativi: “Le donne, spesso discriminate, hanno più difficoltà nel mondo del lavoro”. Queste dinamiche fanno aumentare lo stress e diminuire il senso di autoefficacia. “A questo si aggiunge il problema delle violenze domestiche” riferisce Biagiotti.

I sintomi 

I disturbi negli ultimi anni sono aumentati abbracciando sempre più i giovani: “Anche se gli attacchi di panico, sintomo di ansia, possono iniziare anche a 40-50 anni”. La depressione, che nel 2015 secondo il report sulla salute mentale, in Italia ha colpito oltre 2,8 milioni di persone, si trascina per lunghi periodi e peggiora mano a mano. Come polvere che non si vede ma cresce di giorno in giorno e non va lasciata sotto al tappeto. Proprio per questo, fondamentale è riconoscere al volo i primi sintomi: “La perdita di piacere nel fare le cose, l’affrontare la giornata con una sensazione di peso addosso, la stanchezza cronica, l’appiattimento oppure, al contrario, l’agitazione”.

Fattori di rischio e protettivi

Tra i fattori di rischio sicuramente emerge l’importanza della condizione lavorativa, come conferma l’ultimo report Istat sulla salute mentale, risalente al 2015: inattivi e disoccupati tra i 35-64 anni riferiscono più spesso disturbi di depressione o ansia cronica grave (10,8% e 8,9%) rispetto ai coetanei occupati (3,5%). Ma anche “l’istruzione più bassa e le condizioni sociali svantaggiate”, aggiunge Biagiotti, contribuiscono a far crescere questo genere di disturbi. “Ci sono però anche degli atteggiamenti protettivi, come l’avere un’alimentazione corretta, con meno glucidi che portano a ricadute negative sull’umore, e l’incrementare l’attività fisica: per esempio la camminata riduce lo stress”. A volte però la prevenzione non basta. In quel caso i sintomi vanno presi per tempo: “Le famiglie stesse si vergognano ad avere un parente che ha un problema di questo genere. Finché ‘non dà fastidio’ lo nascondono. C’è questo falso mito da sgretolare. Spesso le persone vengono da noi tramite il medico di base, il centro migranti o altre figure che fanno da tramite: vorrei che più spesso venissero direttamente, sapessero che non c’è niente di male ma è solo un bene venire da noi”.

Dagli hikikomori all’università

Perché quando, finalmente, ci si decide a farsi aiutare, spesso e volentieri le storie sono “a lieto fine”. Con la serenità ritrovata: “Abbiamo aiutato persone con problematiche di tutti i tipi, dagli autolesionisti agli hikikomori, quei ragazzi che si estraniano dal mondo e rinchiudono in camera. Ora vanno all’università e sono felici. Avere una vita sociale attiva è un’altra delle attività scaccia stress”. In questo caso i soli non splendono. Parlare e parlarne può far risorgere. 

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