Nico Mariani, allenatore dell’Urbino: “Mi sveglio alle 5 per studiare tattiche e avversari”

Di MARTINA TOMAT

URBINO – Il calcio, insieme alla famiglia, è il suo primo e ultimo pensiero ogni giorno. Sveglia alle 5 per studiare le partite, poi lavoro al Comune di Senigallia, un boccone al volo, allenamenti a Urbino, ritorno a casa e ancora spazio alle videoanalisi nonostante la stanchezza che incombe. La maggior parte delle giornate di Nico Mariani procede a questo ritmo incalzante. Da giugno allena l’Urbino Calcio, ora sesto a pari merito in Eccellenza.

Dalla delusione alla scelta dettata dalla stima

Appena un mese prima, a maggio, quando era alla guida del Montefano, Mariani ha incrociato l’Urbino nella semifinale playoff, perdendo per 3-1. Un sogno infranto che ha inciso sulla decisione di cambiare aria: “È stata una delle mie più grandi delusioni. L’anno scorso, a due giornate dalla fine avremmo potuto addirittura vincere il campionato. Avevo paura di non essere più idoneo, di non riuscire più a trasmettere la mia passione. Ma è stata dura spostarmi: il Montefano era ed è una famiglia per me”. Tante le squadre che hanno cercato di accaparrarsi l’allenatore ma l’Urbino ha vinto la concorrenza: “Ho sempre apprezzato questa piazza. Avevo stima per il loro allenatore, Ceccarini (il precedente allenatore ndr) mi aveva parlato molto bene dell’ambiente. Sapevo che c’era un’ambizione. Mi sembrava lo step corretto per un cambiamento”.

L’umile ambizione e l’importanza del “noi”

Una scelta di cui al momento è contento: “I ragazzi hanno una fame incredibile e il lavoro paga sempre”. Un lavoro indirizzato in primis a raggiungere i 40 punti salvagente per poi alzare l’asticella: “Prima la salvezza poi si vede. Bisogna limare ogni minimo errore perché ci potrebbe punire”. Come è successo nella sconfitta contro l’Osimana, subito riscattata dalla vittoria col Monturano: “L’importante è non abbattersi. Bisogna accettare anche le partite perse senza cercare alibi. Il calcio è lo specchio della vita. Alla base di tutto ci vuole l’umiltà”. Ma anche l’ambizione: “Voglio una squadra umile ma ambiziosa che mi rifletta. Senza le ambizioni non si fa nulla. Voglio una squadra che sia un ‘noi’ e non un ‘io’. Mi ispiro ad Ancelotti anche perché per lui conta il collettivo”. E infatti di singoli l’allenatore non vuole proprio parlare: “Posso dire bene di tutti, nessuno guarda l’orologio. Vorrei trasmettere ai ragazzi qualcosa. Non c’è solo il calcio ma anche le persone”. 

L’Inter e il potere della gavetta

Mariani parla con orgoglio della sua gavetta, del valore del percorso: “Ho iniziato a 26 anni dalla seconda categoria col Senigallia Calcio, poi l’eccellenza dal 2017 a Marina e gli indimenticabili anni a Montefano dal 2022. Tifo Inter ma per me il calcio vero è questo, fatto di sacrifici, fatti volentieri. A proposito di questo un altro allenatore che stimo è Guido Pagliuca che ora è in B con la Juve Stabia: è partito facendo il cassiere, ha fatto la gavetta”.

L’incessante studio

E la gavetta di Mariani, che va avanti da 20 anni, è caratterizzata dalla inestinguibile voglia di imparare: “Nella vita non si smette mai di studiare. Lo dico anche ai figli. Spesso ci mettiamo a studiare insieme dopo cena. Solo che io studio gli errori fatti, gli avversari, i video delle partite, le sedute di allenamento da programmare”. Uno studio che continua la mattina, all’alba: “Mi alzo alle 5, lo faccio prima di iniziare il lavoro come informatico in comune a Senigallia”. Giornate scandite dal calcio. Eppure per Mariani c’è anche un’altra passione che corre più veloce del pallone: “Sono malato di equitazione – rivela a fine intervista – non vedo l’ora di arrivare a casa e dare da mangiare ai miei cavalli”. Honey e Blanca.

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