Edoardo Leo incontra gli studenti a Urbino: “Il mio Otello parla in dialetto. Violenza di genere, Shakespeare più attuale che mai”

Edoardo Leo all'Università di Urbino - Credits: Uniurb
di CRISTINA R. CIRRI

URBINO – “Difenditi dalla gelosia, è un mostro co l’occhi verdi che sputa su quello che magna”. A pronunciare questa frase è Iago il protagonista della tragedia di William Shakeaspeare Otello ma in una versione più attuale e “dialettale”. Non sono quello che sono è il nuovo film di Edoardo Leo al cinema il 14 novembre. L’attore e regista romano dialogando con il professore Giovanni Boccia Artieri e con la professoressa Stefania Antonioni, ha presentato nell’aula magna del polo scientifico didattico Paolo Volponi dell’Università di Urbino una rilettura della tragedia shakespeariana. Il film è ambientato nei primi anni 2000 e i dialoghi, nei dialetti romano e napoletano, toccano temi quali la violenza di genere, l’amore e la gelosia.

Un lavoro lungo 15 anni

L’idea di produrre un film su Otello nasce nel 2006 quando Leo si imbatte in una vicenda di cronaca nera in cui un uomo, dopo aver ucciso la moglie, si toglie la vita. “Mi è subito venuto in mente Otello e mi sono reso conto che in più di 400 anni non è cambiato nulla perché i femminicidi continuano ad essere uno dei titoli maggiormente presenti sui giornali”.

L’attore ha spiegato che ci sono voluti più di 15 anni per realizzare questo lavoro: “Lo tenevo nel cassetto perché non mi sentivo ancora pronto per una storia del genere. Mi sono dedicato ad altro e poi ho deciso di tirarlo fuori adesso perché lo reputo necessario”. Il suo è un film destinato sopratutto ai giovani: “Con questo lavoro non voglio lanciare nessun messaggio ma come artista devo prendermi le mie responsabilità e quindi so che trattare questi temi può essere d’aiuto per molte ragazze, anche quelle presenti dentro quest’aula, che stanno vivendo delle relazioni tossiche e non hanno il coraggio di chiedere aiuto”

Edoardo Leo all’Università di Urbino – Credits: Uniurb

Il dialetto come forma d’arte

Il suo Otello è una traduzione dall’inglese ai dialetti romano e napoletano: “Non esiste un’unica versione, sono stati tanti ad averlo tradotto proprio perché non parliamo di qualcosa di scolpito sulla pietra. Io ho scelto di raccontarlo usando il dialetto perché lo reputo assolutamente perfetto per rendere la storia più attuale”.

Otello come carnefice

“Il testo mi ha messo davanti  a un grosso ostacolo perché volevo svuotare il personaggio di Otello di tutta la compassione che emerge in molte trasposizioni. Lui è vittima di se stesso, assolutamente non in grado di gestire il suo lato emotivo”. L’obiettivo, senza modificare il testo originale, era quello di farla emergere non come vittima del proprio amore ma come un carnefice senza scusanti e giustificazioni. “Si sarebbe dovuta chiamare la tragedia di Desdemona non di Otello”- dice Leo

Il pubblico durante la masterclass di Edoardo Leo – Credits: Uniurb

L’importanza delle parole

Da metà tragedia Otello inizia ad appellare Desdemona più e più volte “puttana”. “Le parole hanno un peso e ci definiscono come persone – dice l’attore – anche nella nostra società quando vogliamo screditare una donna per qualsiasi motivo decidiamo di colpirla nel suo onore dandola della puttana”. Nel linguaggio di tutti i giorni, emerge secondo l’attore una tendenza a porre sempre la donna sotto una luce negativa. “Io tante volte, come uomo, mi sono chiesto se in alcune occasioni non sono stato vittima inconsapevole oppure artefice di comportamenti patriarcali”.

L’uomo come artefice del destino della donna

Chiude l’incontro leggendo ai ragazzi il monologo autobiografico dal titolo “Lo stupro” dell’attrice Franca Rame, moglie di Dario Fo, vittima di un feroce abuso sessuale nel 1973 da parte di un gruppo di fascisti. La donna subì, in un interrogatorio, delle domande discriminatorie e misogine. “Franca chiude il monologo con “lo denuncerò domani’ e questa è una frase che si sente spesso pronunciare alle donne perché hanno paura di non essere credute o di vedere sminuito il proprio dolore”. Secondo Leo il cambiamento deve partire dall’atteggiamento degli uomini: “Credo che per superare la convinzione che si ha della donna fragile, debole e inferiore, bisogna educare i nostri figli a dire “piangi come un maschio e non come una femminuccia. Siamo noi uomini che possiamo cambiare la storia.”


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