di ANNALISA GODI
URBINO – Quando si diventa anziani si ha bisogno di qualcuno che ci aiuti e si prenda cura di noi, motivo per cui spesso si è costretti a rivolgersi a strutture apposite e professionisti. Ma a volte le cose non vanno esattamente così e ci si trova a vivere un incubo.
Oggi al Tribunale di Urbino si è svolta la requisitoria finale del processo per maltrattamenti in una casa di riposo di Apecchio in cui è imputato M. S. I., ex operatore socio sanitario in quella struttura. La Pm Enrica Pederzoli ha illustrato l’impianto accusatorio, basato su testimonianze degli altri operatori della struttura e dei parenti degli ospiti, corredato da fotografie.
Polsi legati, parole violente e molestie sessuali
Secondo l’accusa, ad alcuni ospiti sono stati bloccati i polsi con dei lacci e in una fotografia mostrata in una precedente udienza si vede una carrozzina legata al termosifone. A questi si aggiungono comportamenti poco gentili nei loro confronti: “S.C., una Oss della casa di riposo, sostiene che l’imputato abbia preso a calci la poltrona di un anziano, malato di demenza senile, fino a romperla. Un’altra operatrice ha dichiarato di aver sentito M. S. I. dire ad un anziano: ‘Prego Dio che cadi e ti rompi, così stai fermo’”. Per l’accusa atteggiamenti e parole violente, rivolte a persone fragili.
Il quadro che fa emergere Pederzoli è quello di un operatore che, invece di prendersi cura degli anziani, assume atteggiamenti punitivi nei loro confronti: “S.C. ha sentito l’indagato dire in diverse occasioni che avrebbe voluto somministrare gocce calmanti ai pazienti. In un’altra occasione avrebbe privato un’anziana della merenda perché disturbava”.
Ma i maltrattamenti sarebbero sfociati in violenze più gravi nei confronti di una giovane paziente B.A., affetta da disturbi psichici: “L’imputato si denudava di fronte a lei: la paziente avrebbe sviluppato una paura tale che non voleva farsi più toccare dagli operatori uomini”.
Pederzoli ha chiesto 4 anni di reclusione e che non si tenga conto delle attenuanti.
Un castello di accuse costruito dall’invidia delle colleghe
L’avvocato della difesa Luca Bellocchi, ha provato a smontare punto per punto l’impianto accusatorio della Pm: “Il mio assistito ci ha spiegato che mai avrebbe utilizzato la frase ‘Prego Dio che cadi e ti rompi, così stai fermo’, perché il paziente in questione non era in grado di camminare”.
Per quanto riguarda la poltrona dell’anziano che M.S.I. avrebbe rotto a calci, l’avvocato ha spiegato: “La poltrona era elettrica e si era bloccata, sono intervenute 3 persone per sbloccarla e si è rotta, l’anziano non è stato maltrattato”.
Per quanto riguarda la giovane paziente B.D., la difesa ha raccolto la testimonianza di altre operatrici, che la definiscono come “una persona difficilmente gestibile. Se non otteneva ciò che voleva iniziava la sua ribellione, per questo ha cambiato tante strutture e in un’occasione ha addirittura chiamato i carabinieri”. Inoltre quando le infermiere hanno saputo della presunta esibizione dei genitali alla paziente, “hanno preso di petto la situazione e hanno chiesto a B.D. se fosse vero, lei ha negato”.
Secondo Bellocchi, le prove su cui si appoggia il processo sono inconsistenti, perché nessuna delle altre operatrici ha visto direttamente M.S.I. legare i polsi dei pazienti e le carrozzine, ma lo avrebbero sentito da altri.
“È stato costruito un castello di accuse dettate dall’invidia ai danni del mio assistito, perché è stato assunto a tempo indeterminato mentre un’altra Oss, F.A. – la stessa che ha testimoniato di aver trovato la paziente S.B. con i polsi legati alla carrozzina, ndr – voleva quel posto. Quando M.S.I. ha lasciato il lavoro lo ha ottenuto”.
La giudice Benedetta Scarcella ha rinviato la data della sentenza al 10 dicembre.