di CARLA IALENTI
URBINO – La bandiera della Palestina con l’impronta di una mano insanguinata e quella arcobaleno, simbolo di pace, sul tavolo. Basta un solo sguardo per capire il messaggio forte che gli organizzatori della due giorni “Voci per la Palestina” vogliono lanciare dalla Sala degli Incisori al Collegio Raffaello: niente più morti, niente più sofferenza nello Stato di Palestina, dove non c’è pace da quasi ottant’anni. Una sala piena: tanti adulti, ma soprattutto molti, moltissimi giovani. Alcune ragazze arrivate poco dopo l’inizio si fanno spazio tra chi è rimasto in piedi, e si mettono a sedere a terra, in prima fila.
Kill Zone: Inside Gaza, la vita dopo il 7 ottobre
Le immagini di Kill Zone: Inside Gaza proiettate in lingua inglese e araba, danno voce al messaggio della prima giornata, venerdì 15 novembre: si spengono le luci nella Sala degli Incisori. Anche a Gaza dopo il 7 ottobre è calato il buio. La regista Vanessa Bowles, insieme a 12 giornalisti palestinesi, racconta di come bombe, droni, granate e attacchi aerei abbiano distrutto case, ospedali e vite. I prezzi sono alle stelle. Una bottiglia d’acqua può essere motivo di gioia. Riuscire a mangiare ogni giorno diventa un’impresa. L’ordinario diventa straordinario. Nella sala sono proiettati solo quindici minuti del documentario dalla durata di un’ora, ma risultano ugualmente incisivi. Quelle scene restituiscono le paure e le speranze della famiglia Badwan, che vive a Deir al Balah, a sud di Gaza, e la solitudine, ma anche i momenti di normalità dei bambini negli ospedali.
Verso la fine del documentario poi, le bombe arrivano anche a casa dei Badwan, durante la notte. Polveri e schegge di vetro ovunque. La madre spazza nervosamente. Una delle figlie racconta il suo spavento. La nonna non riesce ad alzarsi dal letto. “Siamo Hamas noi?”, dice. “Perché devono farci questo?”, si chiede arrabbiata. È la stessa domanda che si pongono gli altri civili assediati.
Il ponte tra Urbino e Gaza: una raccolta fondi
Dopo la proiezione è il momento di dare spazio alla vera “voce dalla Palestina”: Yousef Salman, medico e delegato di Mezzaluna Rossa Palestinese, lì è nato anche se ormai vive in Italia da più di trent’anni. L’organizzazione umanitaria che rappresenta è la locale Croce Rossa. In collegamento l’attore e musicista Moni Ovadia, bulgaro di origine ebrea, e il giornalista e scrittore Farid Adly, di origine libica. Come il Comitato speciale dell’Onu, anche loro chiedono lo stop al genocidio a Gaza.
Sul tavolo una scatola tappezzata di locandine di “Voci della Palestina”, e con una sottile apertura in alto, a mo’ di salvadanaio. È il ponte tra Urbino e la Palestina: chi può, fa un’offerta a Mezzaluna Rossa Palestinese, per sostenere le spese sanitarie.
Il territorio non è sordo alla crisi umanitaria. Il Comune di Pesaro, infatti, il 12 novembre scorso ha riconosciuto la Palestina come Stato sovrano e indipendente. Per la consigliera di maggioranza Adriana Fabbri “riconoscere la Palestina come Stato è un passo concreto verso la fine di un conflitto che dura da decenni”.
Sinistra per Urbino, come scrive in post su Facebook, ha invitato il Comune di Urbino a seguire l’esempio di Pesaro e riconoscere lo Stato di Palestina, chiedere il cessate il fuoco e l’apertura agli aiuti umanitari.
Prima del 7 ottobre: una guerra iniziata nel 1948
Yousef Salman condanna l’attacco di Hamas nella Striscia di Gaza: “Sono contrario all’uccisione di ogni essere umano – dice al Ducato -, ma la storia della Palestina è piena di 7 ottobre”, di attacchi degli israeliani contro i palestinesi. “Hamas è il risultato di decenni di occupazione in Palestina”, aggiunge.
E su Netanyahu e il suo governo, Salman dice: “A Israele ci sono organizzazioni molto più a destra di Hamas, che farebbero cadere il governo”. Benjamin Netanyahu, premier israeliano, a fine dicembre 2022, infatti, formò il governo grazie all’accordo con politici un tempo considerati radicali, come riporta il Guardian. Il suo governo di coalizione è stato considerato quello più a destra della storia di Israele.
Moni Ovadia: la voce del dissenso
In collegamento da remoto Moni Ovadia, attore e musicista bulgaro di origini ebraiche e direttore del teatro comunale di Ferrara, saluta l’amico Salman con un sorriso. Subito cattura l’attenzione della sala, come quando va in scena: “Mi accusano di essere un ebreo antisemita. Io rispondo che non mi faccio intimidire dalla retorica di Netanyahu”, racconta dal teatro di Brescia, dove si trova per uno spettacolo.
La linea va e viene, ma la rabbia che muove l’attore tiene tutti incollati allo schermo. Tanto che si spinge a paragonare Netanyahu a Hitler. Un personaggio senza peli sulla lingua, che l’anno scorso, per questo motivo, fu al centro di una polemica: dopo le critiche della politica di Israele,
Alberto Balboni, senatore ferrarese di Fratelli d’Italia, chiese le sue dimissioni. L’attore, che in un primo momento annunciò le dimissioni, poi decise di rimanere in carica avendo ricevuto il sostegno del consiglio di amministrazione del teatro stesso.
Ovadia, continuando a esprimersi senza filtri, condanna la “strumentalizzazione delle vittime dell’Olocausto nella propaganda israeliana”, e la definisce “una manipolazione ripugnate e blasfema, che offende le ceneri degli ebrei, sfruttati per commettere altri crimini”.
Farid Adly, lo scrittore e giornalista libico attivo in Italia dagli anni 70, anche lui attraverso lo schermo, parla del racconto della guerra a Gaza. Sulle morti riporta una triste percentuale: “Donne e bambini sono il 70% delle vittime. Così si cancella il futuro di un intero popolo: è questo l’obiettivo di Netanyahu”.
L’allargamento del conflitto: il caso del Libano
Salman sottolinea la gravità dell’allargamento del conflitto in Medio Oriente: “Non solo la Palestina. L’esercito israeliano combatte su sette fronti (anche Libano, Siria, Iraq, Iran, Cisgiordania e contro gli Houthi in Yemen ndr)”.
Sono oltre tremila le persone rimaste uccide nel conflitto, tra cui 220 bambini, e sono più di 880 mila gli sfollati. L’Unicef, il fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia, è intervenuta chiedendo un cessate il fuoco immediato. Ha fatto notare, inoltre, che il conflitto si è inasprito e che l’80% dei bambini uccisi, sono morti proprio negli ultimi 50 giorni.