di MARIA SELENE CLEMENTE
URBINO – La vergogna e la paura sono le emozioni più frequenti tra le donne che si rivolgono ai centri antiviolenza (Cav). La paura è anche di non essere credute e la vergogna di non avere capito in tempo. In particolare tra chi ha un elevato livello di educazione: “Fanno più fatica a perdonarsi – dice l’avvocata Francesca Santorelli, che da quasi quindici anni si occupa di violenza di genere – perché ritengono di avere gli strumenti per riconoscere una relazione tossica e, malgrado questo, di non essere state in grado di uscirne. Fino al punto di prendersi la responsabilità della violenza subita”.
La paura – oltre a quella legata alle possibili reazioni da parte dell’uomo – è soprattutto quella di non essere credute. Nelle sedi giudiziarie le donne sono state spesso oggetto di vittimizzazione secondaria fino a essere ritenute addirittura responsabili. “È capitato che dopo la denuncia si trovassero indagate o imputate per calunnia o che venissero tolti loro i figli”. Oggi però il quadro normativo che interviene a tutela della donna offesa è più ampio e si è creata maggiore sensibilità. Questo rende più probabile che una donna che denuncia trovi una risposta giudiziaria adeguata. Ma resta fondamentale, sottolinea Santorelli, la formazione, multidisciplinare, delle professioni dell’avvocatura, della magistratura e dei consulenti tecnici in materia di violenza di genere. “Chi si incontra in tribunale è ancora ciò che davvero può fare la differenza”, aggiunge la legale.
I centri antiviolenza
Verbale, emotiva, economica, fisica. La violenza può assumere forme diverse ma quella più diffusa e insidiosa – perché difficile da riconoscere e perseguire – è quella psicologica. Agisce sull’autostima e lede l’autonomia della vittima. Il ruolo dei Centri antiviolenza (Cav) è fondamentale. Una donna che ritiene, o nutre il sospetto, di avere subito qualsiasi tipo di violenza può rivolgersi gratuitamente a un Cav nel quale, spiega Maura Gaudenzi – responsabile dello sportello “Parla con noi” di Urbino – viene accolta da due operatrici che seguiranno la donna per tutta la durata del suo percorso.
Durante i colloqui di accoglienza le operatrici valutano i bisogni e il rischio di recidiva da parte dell’uomo. La donna può richiedere colloqui legali nel corso dei quali viene informata dei suoi diritti e orientata sulle opzioni percorribili (come la denuncia e la separazione) inclusa l’assistenza legale gratuita. Fino a potere richiedere gratuito patrocinio a spese dello Stato nei processi penali (per stalking, maltrattamenti in famiglia e violenza sessuale).
Le case rifugio o emergenza
Nel caso in cui la valutazione del rischio faccia emergere un timore elevato per l’incolumità della donna, inclusa la sua stessa vita, il Cav attiva un percorso di protezione che, in dialogo con i servizi sociali, può condurre all’assegnazione a una casa rifugio.
La permanenza in queste strutture è di medio o lungo periodo e spesso vengono scelte quelle in una provincia o una regione diversa, “dipende dall’esito della valutazione del rischio; tanto più alta sarà la pericolosità, maggiore la distanza”, spiega Gloria Battistelli, coordinatrice di due case rifugio a Pesaro e responsabile all’interno delle stesse dell’area violenza di genere.
Oltre al Cav e alle case rifugio esiste un terzo tipo di struttura: la “casa emergenza” che risponde alla necessità di un allontanamento immediato. In queste sedi, la permanenza è di qualche giorno e ad esse si accede anche su segnalazione diretta delle Forze dell’ordine e dei pronto soccorso.
Il limite di queste strutture è tuttavia legato alla loro scarsa capienza e all’accesso che è subordinato a casi di pericolosità molto elevata. Il rischio, denunciato tante volte, è che “le vittime sono obbligate a continuare la convivenza con il partner violento”.
Centro uomini autori di violenza (Cuav)
“Per molti anni nella questione della violenza di genere ci si è occupati solo delle vittime” ricorda Simone Poggiali, coordinatore dello sportello “Dicono tra noi” di Pesaro. “Certamente sono loro la priorità. Ma gli attori coinvolti sono più d’uno: oltre alla donna, l’uomo e, quando presenti, i figli che spesso assistono e a volte subiscono aggressione”.
Al Cuav di Pesaro principalmente arrivano uomini condannati che per evitare che la condanna diventi esecutiva, devono obbligatoriamente partecipare a un percorso psicoeducativo – personale o di gruppo. C’è anche chi decide di venire prima di andare a giudizio. “Poi c’è una componente piccolissima, ma significativa” dice Poggiali, “di cui fanno parte uomini che non hanno commesso reati ma si accorgono che in certe situazioni hanno dei comportamenti a rischio. Sono i più motivati”.
Come per le donne che si rivolgono al centro antiviolenza, “tutti gli uomini si trovano a dover fare i conti con un profondo senso di vergogna ed è su questo” spiega Poggiali “che lavoriamo insieme”. L’obiettivo ultimo del percorso è imparare a riconoscere la violenza, capire come ci si sente quando viene agita e quello che può aver vissuto o vivere la vittima.