Inaugurata l’aula Volponi: un restauro che non snatura il lavoro di De Carlo

Di MARTINA TOMAT

URBINO – L’architettura per Giancarlo De Carlo è come un individuo, con un’anima e un corpo. E infatti quando comincia a lavorare al progetto di rimodernamento di Urbino, a inizio degli anni ‘50, la sua prima preoccupazione è “svelare lo spirito della città senza contraddirlo”. Urbino in quel periodo è bella e rovinata, con un po’ di polvere da scrollare per tornare al passo con i tempi. “Restituire a quella dimessa città del silenzio un’anima moderna, valorizzando gli istituti di cultura”, come rivela in un discorso del 1964 l’amico e committente Carlo Bo, è uno degli scopi dichiarati dell’architetto, pronto fin da subito a battersi per far “vivere e non solo sopravvivere Urbino”.

Ora anche uno dei capolavori di De Carlo, la maestosa aula magna del polo scientifico Volponi, aveva bisogno di una rimaneggiata. Restaurata dagli architetti Monica Mazzolani e Antonio Troisi in tre mesi, da giugno a settembre, oggi, nel giorno in cui De Carlo avrebbe compiuto gli anni, è stata inaugurata con una cerimonia curata dalla professoressa Tiziana Mattioli. Un’occasione per ricordare i tanti aneddoti e intrecci che ancora tengono ancorato De Carlo alla città ducale. A partire dal legame inossidabile con Carlo Bo che l’aveva chiamato a Urbino per dare nuovo smalto alla città. Un evento che fa da capofila a un 2025 (in occasione dei vent’anni dalla scomparsa di De Carlo ndr) scandito proprio da eventi incentrati sull’architetto e il rettore che hanno fatto grande Urbino.

Trasanni e quella sagoma abbagliante

Per Carlo Bo l’impatto con la città ducale non era stato dei migliori. Quando a 27 anni era arrivato da Sestri Levante per insegnare era stato accolto dalla nebbia. Sconsolato, anche per la giovinezza lasciata alle spalle, non aveva saputo trattenere le lacrime, presto surclassate da un amore per la città mai più tramontato. Forse anche per questo, quando nel 1951 va a prendere in stazione De Carlo, vuole fare in modo che l’impatto dell’amico sia diverso. “Fa fermare l’auto a Trasanni – racconta l’avvocata Marcella Bo, nipote del rettore – premurandosi di indicare la sagoma della città ducale che sporgeva in tutto il suo splendore”. De Carlo rimane incantato dalla bellezza di Urbino. Subito dopo lo colpiranno anche l’umanità e la riservatezza dei suoi abitanti. Non solo. Perfino la luce ducale non gli è indifferente, ha un potere modellante: cercherà di farsela alleata all’interno degli edifici costruiti.

Un progetto vincente

Ma più di ogni altra cosa è il progetto di Carlo Bo a entusiasmarlo: il rinnovamento degli spazi (che avrà come cuore pulsante i collegi, l’Università e il piano regolatore) va a braccetto con quello dei contenuti portato avanti all’Università dal Rettore. De Carlo è in genere selettivo, difficile da convincere: “Ribadiva che era lui a scegliere i suoi lavori, accettava una proposta solo se il progetto aveva effetti chiari e positivi sull’ambiente, sui gruppi sociali e sugli individui. Doveva essere anche uno spunto per lui, aveva un approccio olistico”, spiega Angela De Carlo. E l’armonia che lo contraddistingue De Carlo l’ha riproposta anche nella ‘fisionomia’ dell’aula Volponi: ”Nel cuore della città il magistero doveva essere l’edificio maestro, uno spazio di società fervente – spiega il rettore Giorgio Calcagnini -, l’auditorium è concepito per 1500 persone con un sistema acustico simile al teatro greco di Epidauro e raccoglie tutte le possibilità della luce con la vetrata orientata verso San Bernardino e le Cesane”.

Un restauro che non snatura

Una capienza rimasta invariata dopo il restauro, necessario “per rifare il pavimento degradato e le poltrone e per l’obbligo di adeguare la struttura alle normative antincendio. De Carlo considerava un edificio come un individuo con anima e corpo e questo lo si capisce frequentando quest’aula: basta vedere come i flussi di studenti qui si muovono, scorrendo la risma verticale, vederla riempirsi e svuotarsi. Un organismo vivo e dinamico per sopravvivere deve però trasformarsi, così è stato anche per l’aula Volponi”. A spiegarlo è Antonio Troisi, l’ideatore del progetto. L’architetto con cura ha cercato di rinnovare l’aula senza trasformarla: “Le sedie erano artigianali, come tutti gli oggetti, difficilmente sostituibili. C’era poi il problema del pavimento: rifarlo in stuoia di cocco non sarebbe stato a norma così abbiamo optato per la graniglia con impasto in resina come in un suo progetto di Venezia”. Alla fine, a tempi record “durante le vacanze estive per non ostacolare gli studenti” sono stati fatte delle migliorie che non stonano con la struttura originaria “C’è più spazio dalla cattedra, gli oggetti, coperti di vernici ignifughe, sono stati preservati, le poltrone mantengono le misure originarie ma sono più comode e col tavolino rotante”.

Come foglie

Cambiamenti non invadenti quindi ma sufficienti per ridare vita all’aula, rianimata dal brusio degli studenti, dalla commozione degli eredi di Bo e De Carlo che hanno partecipato alla cerimonia, dal sorriso gratificato del rettore Calcagnini. Vicino a lui, sulla cattedra ci sono delle piantine che ricordano la simbiosi tra architettura e natura tanto cara a De Carlo. Sempre di stampo naturalistico è il paragone del rettore: “L’università è come una quercia pluricentenaria che con i suoi rami e le sue radici tiene in equilibrio la città”. Come la quercia sostituisce spontaneamente le sue foglie secche, anche i cambiamenti dell’architetto amico di Bo miravano alla naturalezza del nascondersi tra le fronde.

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