di MARIA SELENE CLEMENTE
URBINO – Al teatro nazionale dell’opera Shevchenko di Kiev, due attori sono soli in scena sul palco. Si avvicinano. Si sfiorano. Il pubblico attende coinvolto. Poi il suono delle sirene. Tutto si ferma. Sale un brusio. Una voce dagli altoparlanti invita spettatori e compagnia teatrale a lasciare la sala e ad andare verso il bunker più vicino. Solo quando l’allarme anti-bomba rientra, tutto riprende da dove si era interrotto: il pubblico torna al suo posto, le luci si abbassano e agli attori resta il difficile compito di riprendere da quell’attimo di sospensione che precede un bacio.
Teatri, cinema, ristoranti, café ma anche palestre e piscine. Tutto è tornato a come era prima della guerra racconta la giornalista ucraina Iryna Guley, che per il Ducato ha tenuto un diario nelle prime settimane del conflitto. Tutto è “normale”, tranne quelle interruzioni che a volte precedono, o solo segnalano, un bombardamento. “Ci siamo abituati a vivere in guerra, al punto che a volte, quando sentiamo le sirene, non ci nascondiamo neanche più nei bunker” dice Guley che abita al 17° piano di un palazzo nel quartiere di Golosiyvskyi, a Kiev. “Quando si tratta di missili balistici poi non abbiamo tanto tempo per scendere, più o meno si tratta di 10-15 minuti durante i quali dobbiamo prendere le cose d’emergenza, scendere per le scale, perché in ascensore si può restare incastrati, poi andare fuori dal palazzo, attraversare la strada e scendere giù nello shelter”. E aggiunge: “Forse non ci nascondiamo più non solo perchè è faticoso ma anche perché neghiamo a noi stessi l’idea di potere essere uccisi”.
Guleya racconta che le sirene suonano ormai tutti i giorni a Kiev, specialmente dopo l’inizio del coprifuoco che inizia a mezzanotte e dura fino alle 5 della mattina. Affida la sua sicurezza ad un’app, altri suoi amici o colleghi a gruppi Telegram in cui si dà notifica degli attacchi e della tipologia di bombardamento.
![Una guerra che dura da tre anni crea inevitabilmente una situazione di normalizzazione, per cui la vita va avanti, le persone riprendono le attività che facevano prima della guerra salvo poi essere interrotti dalle sirene anti- bomba. Iryna Guley a il Ducato racconta l'impatto del perdurare della guerra nella sua vita.](https://www.ilducato.it/wp-content/uploads/2025/02/9767ce2d-ccb0-43d1-8341-83561165451d-1-471x1024.jpg)
Iryna lavora in un morning show televisivo e racconta che insieme al suo team, viste le tante volte in cui hanno dovuto interrompere la trasmissione per rifugiarsi nel bunker, hanno creato un piccolo studio anche sotto terra, da cui possono continuare a trasmettere. É il processo di normalizzazione che spesso si genera quando le guerre o i conflitti si protraggono nel tempo. “C’è un momento in cui capisci che la vita deve continuare” racconta Guley.
Mentre la vita e la guerra vanno avanti insieme, le capita di trovarsi spesso agli estremi delle emozioni: la disperazione, per il figlio della vicina di casa andato alle armi, per la difficoltà di programmare un matrimonio o una gravidanza, per la necessità della madre di fare un intervento al cuore, mentre tutto può fermarsi da un momento all’altro, come a teatro. Dall’altro lato racconta di momenti felici anche in questa guerra, come quando è andata a trovare i genitori che vivono a circa 70 km da Odessa, vicino al Mar Nero. “Io e mio padre siamo andati a camminare spiaggia, quella dove ho passato la mia infanzia e che ora è minata. Ero felice e volevo postare una foto su Instagram. Mi sono chiesta se fosse appropriato. Se la vedesse la madre di un ragazzo ucciso in guerra?”. Anche se tutto sembra normale, la guerra continua è parte della vita quotidiana ed è entrata nel suo terzo anno.